CHI È TRADUTTORE ALZI LA MANO – LA STORIA DI PAOLA PARIS

Pubblicato il 9 Gennaio 2017 alle 8:30 0 Commenti

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Sliding doors: destino di un traduttore | di Paola Paris

Sono un traduttore e revisore. Un traduttore e revisore tecnico con specializzazione in IT e localizzazione del software. Dall’inglese all’italiano. Una vita condensata in tre parole: TECNICO, INFORMATICA, INGLESE.

Ma non sempre la consapevolezza di essere seduta su uno sgabello a tre gambe imprescindibili l’una dall’altra è stata così palese. “Non toccherò mai più un computer in vita mia!” Alla fine delle superiori (Istituto TECNICO Commerciale a indirizzo INFORMATICO) salutavo con questa dichiarazione perentoria l’ingresso nel sogno: potevo finalmente studiare ciò per cui mi sentivo più portata, le materie umanistiche, e dare l’addio a quelle aride cifre che mi avevano condotto nei noiosi cunicoli della partita doppia. Niente più algoritmi, niente più programmazione (beata ingenuità!), niente tecnica bancaria o scienza delle finanze, niente ragioneria ma solo materie umanistiche.

La scelta di studiare Lingue nella mia città, in una Facoltà aperta da poco, all’inizio è forzatamente casuale, un compromesso tra la brama di letteratura che mi divora dall’età di quattordici anni e la possibilità di non pesare troppo sui bilanci familiari. Un occhio al futuro e una alla borsa! A qualsiasi costo ero decisa a lasciarmi alle spalle materie che disprezzavo e che avevo studiato quel tanto che bastava per non essere rimandata solo perché l’idea di trascorrere anche l’estate su quei dannati libri mi faceva inorridire più dei libri stessi. Scelgo di studiare inglese e spagnolo, e mi appassiono! Non potevo però immaginare che appena un anno più tardi avrei incontrato un ricercatore di tedesco, Roberto Menin, che mi avrebbe ricondotto nei meandri dei bit e dei byte.

Insieme a un manipolo di temerari e guidati da lui, nei primi anni ’90 fondiamo un’associazione universitaria, ProjectTwo, con l’obiettivo prima di informatizzare la Facoltà di Lingue e poi di creare dei professionisti nella nuovissima e ancora inesplorata area dell’informatica umanistica. La prospettiva cambiava radicalmente: finalmente tutte quelle nozioni informatiche che avevo studiato a forza e controvoglia negli anni precedenti ora avevano uno scopo preciso e la programmazione, l’informatica rappresentavano un valore aggiunto. Sotto la guida di Menin, traduttore esperto, comincio ad esercitarmi traducendo dall’inglese qualsiasi testo non letterario che mi si presenta davanti: articoli di giornale, manuali di istruzioni, ecc. Per collegarci a Internet, ancora a uno stato embrionale, otteniamo dal Rettorato l’autorizzazione a utilizzare l’unico modem allora disponibile in tutto l’Ateneo e riservato fino a quel momento solo ai ricercatori scientifici della Facoltà di Agraria. Il gruppo cresce e si prefigge obiettivi sempre più ambiziosi. L’idea originale di lavorare nel campo della traduzione automatica comincia a diventare sempre più reale e il nostro progetto viene preso in considerazione da un’importante multinazionale informatica a Roma. Tutto sembra procedere nel migliore dei modi ma all’improvviso e inaspettatamente il meccanismo si inceppa: per contrasti interni ci dimettiamo in blocco dalle varie cariche dell’associazione e il gruppo degli informatici umanistici in erba si scioglie all’improvviso facendo così naufragare anche tutti i progetti in corso con la multinazionale.

Ancora una volta mi ritrovo a pensare di non voler più usare un computer. Ma i tempi ormai sono già cambiati e una vita professionale senza computer è già impensabile.

Al momento della tesi mi trovo di fronte a un bivio: devo scegliere se rischiare il tutto per tutto con una tesi sulla traduzione automatica, una novità assoluta per l’epoca, oppure seguire il filone più comodo della letteratura inglese. Ancora una volta, con scarsa lungimiranza, scelgo la letteratura e abbandono la traduzione, ma è solo grazie ai miei studi informatici che riesco a pagarmi il soggiorno Erasmus in Scozia digitalizzando tesi per conto terzi. Ottenuto l’agognato pezzo di carta, ben presto mi rendo conto che una laurea in Lingue non serve molto in una zona a basso impatto industriale e commerciale come quella di Viterbo, mentre un diploma di ragioneria a indirizzo informatico è probabilmente più utile.

Passano gli anni e mi ritrovo a lavorare in piccole aziende nei settori più disparati: passo con disinvoltura dai mobili componibili all’insegnamento dell’informatica (!), dai gestionali aziendali e la creazione di database alla commercializzazione di prodotti per la depurazione di acque da tavola fino alla commercializzazione di prodotti vulcanici per l’estetica e la fisioterapia. Date le mie esperienze ibride, sempre più spesso mi viene chiesto di occuparmi (anche contemporaneamente) della corrispondenza con i fornitori esteri o di creare dei database gestionali. Traduco schede tecniche di macchinari idraulici, divento un’esperta di membrane a osmosi inversa, ma per motivi diversi tutte queste esperienze terminano.

Tento allora la via del turismo con la convinzione di poter mettere a frutto i miei studi linguistici in quel settore. Per tre anni gestisco un agriturismo, lavoro negli alberghi con incarichi da direttore e paghe da facchino fino a quando la collega appena maggiorenne che mi avevano affiancato e alla quale insegno tutto mi viene preferita per una questione di età e di costi gestionali.

Ho quasi 40 anni e per l’ennesima volta devo ricominciare da capo e reinventarmi un lavoro che mi consenta di intraprendere un’attività autonoma in piena crisi economica.

Una sera, durante una cena con amici comuni incontro casualmente una collega di università che avevo perso di vista. Mi racconta la sua esperienza nel campo delle traduzioni e della localizzazione e mi si accende improvvisamente la lampadina in testa. La soluzione alle mie peregrinazioni professionali era sempre stata sotto i miei occhi ma ai tempi dell’Università non avevo neanche minimamente intravisto le soddisfazioni che una tale scelta avrebbe potuto riservarmi. Finalmente capisco che la traduzione tecnica è la mia strada, cucita appositamente addosso a me e alle mie esperienze.

Mi rimetto a studiare, frequento un master sulla localizzazione presso il CTI di Milano grazie ai soldi guadagnati con un’agenzia di tour operator tedesca che organizza vacanze a cavallo nel mondo, e “ricomincio da tre” per dirla come Massimo Troisi: dal settore TECNICO, dall’INFORMATICA, dall’INGLESE. Il cerchio si chiude. La traduzione, abbandonata tante volte ma mai dimenticata, è sempre tornata quasi con prepotenza nella mia vita. Ho fatto delle scelte che apparentemente me ne facevano allontanare ma, come in “Sliding Doors” la protagonista alla fine incontra il suo amore sia che il treno lo prenda o che lo perda, anche io ho comunque incontrato il lavoro ideale per me e sono diventata un traduttore professionista.

Nata e cresciuta a Viterbo, dopo il diploma di Ragioniere Perito Programmatore, consegue la laurea in Lingue nel 1995 presso l’Università degli Studi della Tuscia di Viterbo. Lavora per diversi anni in molteplici settori, dall’arredamento per interni fino al turismo. Curiosa, eclettica e multitasking per natura, dal 2009 è traduttore, localizzatore e revisore professionista freelance nel settore tecnico specializzata in area IT, localizzazione di software e siti Web e marketing con diverse deviazioni nel turismo.

La traduzione è la sua professione e la fotografia è la sua passione. Il suo cane si chiama Mac! La potete seguire sui suoi siti (traduzione e fotografia), sulla pagina Facebook, su Twitter e su Instagram.  

Vuoi che anche la tua storia sia pubblicata? Leggi il progetto Chi è traduttore alzi la mano e raccontaci il tuo percorso professionale. Ti aspettiamo!


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