CHI È TRADUTTORE ALZI LA MANO – LA STORIA DI CHIARA RIZZO
Pubblicato il 4 Luglio 2016 alle 14:11 0 Commenti
Chi è traduttore alzi la mano – Storie di una professione
Il fattore umano | di Chiara Rizzo
La mia storia di traduttrice è una storia fatta di casualità, di incontri fortuiti e fortunati, e di piccole coincidenze che mi sono venute a cercare. È una storia che è stata e che è ancora oggi fatta di persone, che mi hanno insegnato a lavorare e a coltivare le mie competenze e la mia professionalità, e che a dirla tutta per la maggior parte non sono neanche dei traduttori, ma dei giornalisti. Forse anche per questo la traduzione in alcune fasi della mia vita è stata sì la mia attività principale, ma mai l’unica: per me il tradurre da sempre si intreccia allo scrivere, e non finisce mai sulla pagina ma si allarga a quel che succede fuori, alla profonda curiosità nei confronti del mondo che mi ha contraddistinta fin da bambina.
Non ho una formazione da “traduttrice pura”: ho studiato tutt’altro, infatti, e ho iniziato a tradurre per caso, perché il mio relatore della laurea in Teorie e Tecniche del Linguaggio Giornalistico era rimasto favorevolmente impressionato da come avevo reso in italiano alcuni passaggi di un libro non ancora tradotto che avevo inserito nella tesi e, visto che dirigeva alcune riviste – sia cartacee che online – che pubblicavano contenuti originali ma anche pezzi ripresi da fonti estere, mi chiese se mi andava di provare a diventare la loro traduttrice “interna”.
Quel professore – Giancarlo Bosetti – è la prima delle persone che devo ringraziare, il primo sassetto sulla strada di Pollicino che mi ha portata a essere quella che sono oggi (vi avverto, questo sarà un post pieno di nomi e cognomi e molto “amarcord”): perché ha visto in me qualcosa prima ancora che lo vedessi io e perché, in un contesto come quello accademico in cui spesso è più che mai facile approfittare delle ingenue aspirazioni di un giovane, ha deciso di darmi una possibilità vera, con un regolare contratto, di trattarmi insomma come una risorsa da coltivare e custodire. Nel suo apparente algido rigore – Bosetti era un po’ lo spauracchio di tutti noi all’università, uno capace di bocciarti per una virgola – Giancarlo ha, e ha sempre avuto, la capacità invece profondamente umana di leggere le persone. La sua redazione era quindi popolata di talenti e professionisti straordinari, ed è stata per me una “bottega” impagabile, in cui crescere e imparare cosa volevo fare e come dovevo farlo.
C’era Silvio Trevisani, il caporedattore all’epoca del mio arrivo, un cronista formidabile che aveva lavorato per anni all’Unità. Fumava come una ciminiera e ogni volta che scrivevi o traducevi un pezzo te lo smontava parola per parola, faceva dei cazziatoni assurdi e paterni: da lui ho imparato ad avere cura della lingua, ad andare sempre dritta al punto – “scrivere vuol dire raccontare. Raccontalo così, come lo diresti a un’amica tua… se non sai da dove partire, beh… parti dall’inizio” – e a evitare i calchi (non gliene sfuggiva uno), non solo quelli dall’inglese in cui rischia di incappare un traduttore ma anche le formule trite e precotte del giornalettese (“pittoresco scenario”, “il grande esodo”, “un ammasso di lamiere contorte”, “il blitz è scattato alle prime luci dell’alba”, avete presente?).
C’era Alessandro Lanni, all’epoca fresco fresco di esame all’Ordine (oggi è tra le altre cose la mente che sta dietro a Open Migration, un progetto di informazione aperta sul tema delle migrazioni che rappresenta uno dei pochi e più validi esperimenti di data journalism presenti in Italia). Da lui ho imparato l’attenzione e la curiosità per le dinamiche sociali, la profondità di analisi (Alessandro ha infatti una formazione da filosofo, anche lui è un esempio di come un background tangenziale possa arricchire – invece che impoverire – un’identità professionale), l’interesse per le altre culture e per il progresso comune raggiunto attraverso il dialogo.
C’era Andrea Pinchera, il consulente scientifico (all’epoca tutta una sezione dell’attività editoriale online era dedicata alla divulgazione scientifica e tecnologica, attraverso un adorabile web-magazine di cui purtroppo oggi online non c’è più traccia che si chiamava Boiler e pubblicava articoli tradotti da Wired USA, Science, Nature e Technology Review): da lui – che oggi è il direttore della Comunicazione e Raccolta Fondi di Greenpeace Italia – ho imparato la meticolosità nelle verifiche, il non dare mai nulla per scontato, ma anche il sapere dove andare a cercare le informazioni che mi servono, il capire molte volte anche a naso se di una fonte posso fidarmi oppure no.
Da allora, dal giorno in cui ho iniziato a tradurre, sono passati quindici anni, nel corso dei quali mi è capitato di lavorare su testi di ogni tipo. Per diverso tempo mi sono mossa in ambiti molto definiti, traducendo perlopiù divulgazione scientifica e politica internazionale (specialmente di ambito arabo e mediorientale, perché il mio esordio come traduttrice si è accavallato – come ho raccontato in un post sul mio blog doppioverso – con il crollo delle Torri Gemelle, l’11 settembre 2001, ed è così che sono diventata mio malgrado, pezzo dopo pezzo, capendoci sempre un po’ di più, una traduttrice specializzata in questo settore) ma ultimamente, specie da quando dopo una pausa di diversi anni – in cui ho lavorato in un’agenzia di comunicazione come ufficio stampa di eventi culturali – sono tornata a fare la freelance, ho tradotto (e scritto) roba di ogni tipo: articoli, sottotitoli di video, siti web, brochure aziendali, cataloghi di mostre, con qualche occasionale incursione anche nell’editoria libraria.
Le lezioni che ho appreso lì, però, al primo piano ammezzato di un palazzo storico dietro Piazza Navona, quei tre “comandamenti” – “falla semplice ma non sciatta”, “analizza e ascolta ciò che ti sta intorno”, “controlla anche ciò che a prima vista ti sembra ovvio” – sono a distanza di quindici anni le sole tre regole fondamentali che cerco di seguire nel mio lavoro. Sono profondamente convinta che non sia tanto quello che fai a fare di te un professionista, ma come lo fai. Il lavoro, come la vita, è una questione di etica, di approccio. E quello te lo dà solo il rapporto con le persone, se sei aperto a cambiare gli altri e a farti cambiare da loro.
Chiara Rizzo è una traduttrice specializzata in giornalismo politico, web e divulgazione. Ha tradotto saggistica e testi accademici per diversi editori (tra cui UTET e Marsilio) e collabora con varie riviste, tra cui Wired, Reset, Arab Media Report, VoxEurop, traducendo articoli di attualità perlopiù legati al particolare contesto del mondo arabo. Si occupa anche di editing, ufficio stampa e organizzazione di eventi culturali. Dal gennaio del 2015 ha dato vita, insieme alla collega Barbara Ronca, al freelance duo doppioverso, la cui casa virtuale è il sito/blog www.doppioverso.com.
Vuoi che anche la tua storia sia pubblicata? Leggi il progetto Chi è traduttore alzi la mano e raccontaci il tuo percorso professionale. Ti aspettiamo!
Seguici su Facebook
Ultimi tweet
@terminologia @thewhalewatcher Brava! :-)
Circa 2 anni fa dal Twitter di STL Formazione per traduttori via Twitter Web App
@terminologia Magari se ne rendono conto, ma hanno problemi di spazio e accorciano così. 🤷♀️
Circa 2 anni fa dal Twitter di STL Formazione per traduttori via Twitter Web App
🔥 Il lavoro cresce e il team STL si allarga. 🙂 Diamo il benvenuto a Sara Tirabassi, con cui collaboriamo felicemente già da un paio d'anni per i corsi della Scuola in ambito medico. Qui sotto la sua bio 👇👇👇 stl-formazione.it/chi-siamo/ #stlformazione #xl8 #traduzionemedica pic.twitter.com/LiKRJdyMUR
Circa 2 anni fa dal Twitter di STL Formazione per traduttori via Twitter Web App
👩🏫 TRADURRE IL FANTASY Tutto pronto per cominciare! Oggi, 19 aprile, saremo in aula per la prima lezione. 👉 Se volete aggiungervi e seguire il corso dall'inizio, potete ancora farlo da qui: bit.ly/3Yoju3f 🔸🔸🔸 #tradurreilfantasy #stlformazione #corsipertraduttori pic.twitter.com/KLyqis7Km9
Circa 2 anni fa dal Twitter di STL Formazione per traduttori via Twitter Web App
Privacy