CHI È TRADUTTORE ALZI LA MANO – LA STORIA DI GERMANA AMALDI

Pubblicato il 25 Gennaio 2016 alle 11:21 0 Commenti

Chi è traduttore alzi la mano – Storie di una professione.

Storia di una traduttrice per caso | di Germana Amaldi

Quando terminai il quinto anno di studi alla mitica Civica Scuola Superiore Femminile A. Manzoni, allora sita a Palazzo Dugnani (per chi non è di Milano, una bellissima villa settecentesca contenente affreschi del Tiepolo, che si affaccia sui Giardini Pubblici lato via Manin) il mio desiderio sarebbe stato di iscrivermi all’università, ma non a una facoltà di lingue – dato che dalla Manzoni si usciva con un’ottima conoscenza di tre lingue straniere – bensì ad architettura. Nel tempo libero mi divertivo infatti a disegnare progetti di ville e arredi interni. Purtroppo, però, la situazione familiare all’epoca era tale che mi sentii obbligata a cancellare i sogni e cercarmi un lavoro.

Dopo una brevissima esperienza in un ufficio commerciale, venni assunta presso un’agenzia di pubblicità: Caroselli, annunci su stampa, menabò, proiezioni di presentazioni di campagne pubblicitarie in 16 mm (le famose “pizze”, cioè le scatole tonde di latta contenenti i filmati), con il film che regolarmente si spezzava sul più bello lasciandoti nel panico a risolvere la situazione e le serate passate in ufficio a ribattere a macchina (elettrica ma non elettronica) le pagine quando i margini non erano pari… Che ricordi! Lì mi venne affidato il primo lavoro di traduzione: ero l’unica in agenzia che conoscesse il tedesco e mi chiesero di tradurre in italiano la campagna pubblicitaria del Gigante Bianco, un nuovo detersivo Henkel, che poi l’azienda decise di non lanciare sul mercato italiano. Ebbene, con il compenso extra per quel lavoro, acquistai una cassettiera con ribaltina per la mia camera, che ho ancora e se ci ripenso mi commuovo.

In quel periodo, fine anni sessanta, mio fratello si era trasferito in Sud Africa per lavoro e non ci vollero molte pressioni per convincermi a raggiungerlo. I miei genitori furono eccezionali, dandomi il permesso di partire per sei mesi: due figli, entrambi distanti diecimila chilometri, senza telefono o posta elettronica. Ci scrivevamo bellissime lettere, cosa che ormai non si usa più… Il Sud Africa in piena apartheid è stato un’esperienza indimenticabile, che mi ha formato per la vita, e si potrebbero scriverci su dei libri interi. Ma ero lì per lavorare e quindi mi attivai immediatamente per cercare un impiego. Quando sei all’estero e devi cercare lavoro, occorre puntare sulle qualità che hai tu e non hanno i “nativi”, quindi puntai sul francese e venni assunta presso l’ufficio di rappresentanza a Johannesburg di un’impresa francese che costruiva dighe. Mi trovavo benissimo e avevo già chiesto il permesso ai miei di fermarmi un anno, anziché i sei mesi concordati all’inizio e che ormai volgevano al termine. Ma avevo fatto i conti senza l’oste. Una sera, rientrando a casa, trovai un telegramma che mi chiedeva di rientrare al più presto perché mio padre era gravemente ammalato. Non persi tempo, il giorno successivo, dopo una notte insonne, andai in ufficio molto presto per sbrigare tutto il lavoro e quando arrivò il capo e gli mostrai il telegramma, si attivò personalmente per trovarmi un posto su un volo economico che partiva la sera. Lasciai così Johannesburg e il Sud Africa e non vi feci più ritorno.

Giunsi a Milano in tempo per vedere spirare mio padre. Avevo solo 22 anni e dovevo rimboccarmi le maniche. Non c’era tempo di piangere, eppoi avevo già sparso tutte le mie lacrime. Accettai così il primo impiego che trovai in un annuncio sul Corriere, uno studio legale cercava una segretaria con ottima conoscenza della lingua inglese. Uno studio legale! Non potevo certo immaginare la mia vita chiusa in uno studio legale, dopo l’esperienza nel mondo dinamico della pubblicità e all’estero… Ancora una volta, però, non potevo fare la schizzinosa, decisi di provarci. E ci rimasi 11 anni. Ero stata assegnata a un avvocato americano e, allora ancora non lo sapevo, stavo seminando una pianticella che in futuro sarebbe diventata una quercia e avrebbe dato i suoi frutti. Pian piano, al lavoro di segretaria si unì quello di traduttrice in-house: avvisi di convocazione e verbali di assemblee e consigli, atti di citazione, sentenze, testamenti, contratti di vario tipo… Tutto rigorosamente tradotto da me e rivisto dal mio capo o da un altro avvocato americano dello Studio e qui mi resi conto di quanto potesse essere opinabile una traduzione: prima di iniziare chiedevo chi avrebbe poi rivisto il lavoro, per regolarmi sulla terminologia preferita dall’uno o dall’altro! Ottenni anche il permesso di lavorare qualche settimana presso il loro Studio di New York, in 63 Wall Street, al 34° piano. Momenti indimenticabili per una ventiquattrenne che adorava viaggiare. Gli anni passavano, mi sposai e nacquero due gemelli. Lì presi un’altra decisione epocale: lasciai lo Studio, aprii la partita iva e nel 1981 divenni una libera professionista, in modo da potere seguire i miei figli e nel contempo continuare a lavorare. Ricordo le prime traduzioni, su carta carbone, con la Olivetti Lettera 22 appoggiata su uno sgabello e io che scrivevo con un figlio in braccio. I progressi della tecnologia in questi ultimi trent’anni sono incredibili e chi esce oggi dall’università non può nemmeno immaginare come fosse la vita lavorativa prima del computer e dell’avvento di internet. Logicamente il mio cliente principale continuò ad essere per molti anni lo Studio che mi aveva formata professionalmente ma piano piano il mio nome passò col passaparola da un avvocato all’altro, estendendosi a clienti prestigiosi, come le grandi case di moda, banche e società. Posso quindi dire che le mie scelte sono state guidate da necessità contingenti, ma che – tornando indietro – rifarei in pieno.

 

Germana Amaldi – Nata a Milano, ho conseguito il diploma in lingue (inglese, francese e tedesco) presso un prestigioso liceo linguistico della mia città. Ho mosso i  primi passi lavorativi presso un’agenzia di pubblicità americana in veste di assistente di Account Executive e, quando ne ho avuto l’opportunità, mi sono trasferita all’estero, precisamente a Johannesburg (Sud Africa), dove ho lavorato diversi mesi presso una società francese. Al mio rientro in Italia, ho acquisito le basi della mia specializzazione giuridico-finanziaria sul campo, lavorando per oltre dieci anni presso un importante studio legale internazionale, a Milano e a New York e, dal 1980, sono libera professionista e traduttrice freelance. Da molti anni mi occupo della traduzione dall’inglese e dal francese verso l’italiano e dall’italiano verso l’inglese di testi di natura societaria, giuridica e finanziaria e seguo regolarmente corsi di formazione. Tali corsi sono fondamentali per tenersi aggiornati sui molteplici aspetti della professione di traduttore, sulle normative vigenti, anche di natura fiscale, e sui nuovi strumenti informatici messi a disposizione dall’evoluzione della tecnica. Mi piace lavorare in stretta collaborazione con il cliente, con cui instauro un rapporto sinergico e di fiducia reciproca. Ottima conoscenza della materia e della lingua, puntualità, accuratezza e precisione, ma anche approfondimento e paziente ricerca: queste sono a mio parere le doti indispensabili di un buon traduttore.

Sul web la trovate qui: www.amalditraduzioni.it

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