CHI È TRADUTTORE ALZI LA MANO – LA STORIA DI MARTINA LUNARDELLI

Pubblicato il 20 Febbraio 2017 alle 8:24 0 Commenti

Chi è traduttore alzi la mano | Martina Lunardelli su STL FormazioneChi è traduttore alzi la mano – Storie di una professione

Io continuerò a surfare le mie onde | di Martina Lunardelli

Era da un po’ che leggevo con avidità le storie di colleghe e colleghi su “chi è traduttore alzi la mano” finché mi sono detta: “beh, magari anche tu potresti mandare la tua a Sabrina (LA Sabri).
Era una mattina, proprio una come tante altre. Una mattina che come tante altre, in realtà, non è.
Il 2017 è iniziato da qualche settimana.
Settimane pregne di elettricità, di attività e di nuovi progetti e obiettivi.
Ho appena lanciato il mio nuovo sito internet, un grande orgoglio realizzato interamente utilizzando le risorse che avevo a disposizione: pazienza, tenacia e voglia di far funzionare le cose. E devo essere onesta, ho quasi versato qualche lacrimuccia di commozione al vedere tanti colleghi e amici entusiasti del risultato.
Ma forse dovrei riprendere dall’inizio, anche se devo dire che per me l’inizio è ogni giorno, l’inizio è ogni istante della mia giornata.

Quando avevo 12 anni (più di 20 anni fa, arf…) e frequentavo la seconda media in un piccolo quartiere di Pordenone, in Friuli Venezia Giulia (la Svezia d’Italia, come mi diverto a definirla io, questa mia piccola regione d’origine), ero tutta intenta a leggere un articolo (durante l’ora di inglese, strano!) su San Francisco. Ricordo con lucidità la folgorazione che mi aveva colpita. Un fulmine, una luce bianca e calda che mi aveva pervaso completamente. In quel preciso istante mi resi conto di ciò che ero e di ciò che avrei voluto essere o esserefare (neologismo). Tornai a casa per pranzo e me ne uscii con: “Mamma, io voglio andare in America a visitare una bellissima città, San Francisco, e da grande voglio fare l’interprete.” Mia madre mi guardò un po’ perplessa. Cosa vuoi che ne sappia una ragazzina di 12 anni di quello che vuole fare da grande. Mi disse: “Va bene.”
Gli anni passarono e mi ritrovai a iscrivermi, con grande convinzione, al liceo linguistico cittadino (lingue d’indirizzo inglese, tedesco e francese). Una mega scuola con 1.200 studenti. I cinque anni del liceo trascorsero tra compiti in classe, compiti a casa, ma anche con svariati viaggi all’estero (nessuno di questi, ahimè, mi aveva portato a San Francisco), senza intoppi ma con grandi sacrifici (grazie anche a docenti preparati e severi): molte ore di lezione, standard molto alti e grandi risultati sofferti e proprio per questo molto soddisfacenti.

Verso la fine del quarto anno, la mia amata professoressa di inglese Laura (alla quale devo molto in termini di crescita linguistica e personale e con la quale sono sempre in stretto contatto) se ne uscì a sua volta con un’affermazione quasi buttata lì: “Ragazzi, chi vuole andare a San Francisco a settembre?”. Cioè, scusate, avete letto? SAN FRANCISCO! Ricordo di aver avuto un sussulto, il mio braccio si era alzato di scatto senza nemmeno lasciare il tempo alla mia mente di connettere i concetti. Io. Ci. Volevo. Andare. Venne fuori che, con grandi sacrifici della mia famiglia (alla quale sono e sarò per sempre riconoscente), a 18 anni compiuti da qualche mese, quel settembre io ci andai, in California. Presi quello scambio scolastico/culturale molto seriamente. Ero emozionatissima, era tutto così nuovo, così stupefacente, proprio come nei film! Frequentavo una scuola a Sacramento, la capitale della California, e venni ospitata da una famiglia che poi divenne la mia seconda famiglia vera e propria.Quel viaggio mi cambiò la vita. Mi sentivo a casa. Mi sento a casa ogni volta che metto piede in quei luoghi e cerco di tornarci spesso.

Il tutto rafforzò i miei progetti pre-adolescenziali. E il settembre dell’anno successivo mi ritrovai al numero 6 (su oltre 600 partecipanti!!!) della “classifica” dei “fortunelli” che avevano superato l’esame di ammissione della facoltà di interpretazione e traduzione (lingue inglese e spagnolo) a Ca’Foscari, Venezia. Fu così che un altro sogno si avverava. Un sogno che si rivelò piuttosto un incubo, come tutti coloro che hanno frequentato la scuola interpreti sanno bene. Pochissimi studenti, lezioni di interpretazione a ripetizione, traduzioni come se piovessero. A me non importava. Era peggio dei lavori forzati, ma io ero la persona più felice sulla faccia della terra. Trascorsi anche un periodo nella meravigliosa Saragozza in Spagna grazie a un progetto previsto dal corso di laurea.

Iniziai a lavorare come traduttore già durante gli studi, oltre a cercare di guadagnarmi qualche soldo facendo le cose più svariate, ovviamente. Alla fine del percorso universitario, con due tesi interessanti sulla morte (hehe) e sulla neurogastronomia (hihi), avevo estremo bisogno di soldi e fui assunta in alcune aziende (una dopo l’altra), dalle quali puntualmente mi licenziavo. Insoddisfatta. Sempre.

Decisi quindi che il mio ideale di esserefare era incompatibile con la vita da dipendente. A me piaceva ascoltare solo il mio cuore e la mia testa. Fu così che la Partita iva e la vita da autonoma si delineò come la scelta più naturale, d’altronde mio padre è sempre stato indipendente, e credo di averlo sempre avuto nelle vene.

La vita da allora non è stata semplice, proprio per niente. Ad oggi, con molti anni di esperienza alle spalle, ancora si lavora più che sodo e le fatiche e le prove da superare sono all’ordine del giorno: i clienti che non si “trovano”, i pagamenti che non arrivano, la professione che molto spesso è bistrattata (mio nonno nel ’18 ha trascorso un mese a Ellis Island, lo fa anche lui l’interpretariato, ed è anche meno caro!), i lavori dei tuoi sogni tardano a farsi vedere, i pianti che capitano nei momenti più duri… Ma non si molla… ci sono anche tante soddisfazioni.

Ho lavorato come interprete, a pensarci, in situazioni davvero singolari, come quella volta che sono rimasta bloccata nel deserto iracheno in una macchina in avaria, a cercare di mediare al meglio tra il mio cliente, l’interlocutore locale e la mia tensione per la situazione (la storia ha degli sviluppi da film). O quella volta che, in Libia, ho dovuto mitigare il mio grande credo nei diritti delle donne per potermi far ascoltare e accettare dai clienti locali. Oppure ogni volta che mi ritrovo gomito a gomito con criminali di ogni specie alle prese con uno chuchotage in un’aula di tribunale… Il mio sogno più grande è anche molto challenging, come diciamo sempre noi inglesofili, ma sotto pressione rendo molto e la pressione è meravigliosa.

Faccio un lavoro impegnativo, come ho descritto parlando con alcune colleghe e amiche: ascoltocapiscoparlo nello stesso momento, un po’ come nel film “L’esorcista”. Lo adoro (il lavoro, non “L’esorcista”). Adoro ogni secondo, ogni attimo, ogni parola, ogni contesto. Lo amo così tanto da essermi ritrovata ad accettare, due anni fa, l’incarico di insegnamento di interpretazione e traduzione presso due facoltà private di mediatori linguistici e culturali. Insegno ai ragazzi come si fa a diventare interprete e traduttore, e mi piace soprattutto insegnare ad amare quello che facciamo, ad amarlo profondamente, nonostante le continue lotte quotidiane, le infinite giornate (e talvolta notti) di lavoro, i persistenti pensieri che ti attanagliano alle ore più impensate della notte (arf, arf), nonostante la crisi economica e i ritardi nei pagamenti, nonostante molto spesso mi venga voglia di “buttare via tutto” e darmi al surf a tempo pieno, sempre ricoperta di sale a bordo della mia meravigliosa tavola (ah, sì, cerco di fare la surfista e lavoro anche nell’ambito, quanto figo è?).

Non “butterò mai via proprio un bel niente”, perché il mio esserefare è questo: amare ogni minuto del mio lavoro, ogni secondo di ogni sforzo possibile e di ogni lacrima versata, disperazione e sconforto, ogni piccola gioia come quella immensa di scrivere di me (cavoli!) per LA Sabri e per tutti voi che avete avuto la pazienza di leggermi fino a qui (tenete duro, manca poco).

Non mollate mai. Non molliamo mai. Alla fine i sogni si avverano. Proprio come succede con le onde: stai in ammollo per ore sul line up, appollaiata sulla tavola da surf. Osservi le sottili increspature all’orizzonte, con la speranza che da swell si trasformino in waves. Ci rimani fino a che la vedi. La TUA onda. C’è proprio scritto il tuo nome sopra. Inizi a nuotare con tutte le tue forze. Paddle, paddle, paddle. A un certo punto pensi anche che faresti bene a smettere, per evitare che ti si stacchino le braccia dal corpo. Invece stringi i denti. Ma ragazzi, quando sento la forza dell’onda che si gonfia sotto la superficie della tavola, sotto di me, e questa forza ti spinge con un’entusiasmo tipico della natura, e salto su, salto in piedi e vengo spinta in avanti, allora la gioia è tale da farmi dimenticare tutta l’infinita attesa, tutta l’immensa fatica del paddling.

E da surfista sai bene che devi tenere lo sguardo fisso verso la direzione che vuoi prendere, altrimenti affondi.

Io ho deciso che continuerò a surfare, ad attendere le mie onde, a osservarle da lontano con pazienza e silenzio e a farmi stupire ogni singola volta dalla forza che mi aiuta a stare in piedi, e a non perdere mai di vista il mio orizzonte, il mio obiettivo, la mia direzione.

Nata a Pordenone nel 1984 e cresciuta a zonzo per il mondo, dopo il diploma al Liceo Linguistico la laurea triennale e specialistica in interpretazione e traduzione presso l’Università Ca’Foscari di Venezia. Mi occupo ancor prima del conseguimento della laurea specialistica di traduzione e ho lavorato anche in altri settori, dalla robotica all’odontoiatria fino a coronare il sogno di autonomia con l’apertura della partita iva. Ho lavorato per Edizioni Piemme (gruppo Mondadori) per la traduzione di un libro sull’olocausto (La Stenografa) proposto da me alla stessa casa editrice e per altre case editrici minori. Mi specializzo in sport acquatici (e affini), nella fattispecie surf, in transcreation, marketing, advertisement e robotica. Insegno interpretazione e traduzione all’Università CIELS di Padova e Gorizia. Sono interprete certificato di Tribunale e collaboro come volontaria con i Traduttori per la Pace. Lingue di lavoro: inglese, spagnolo e italiano (madrelingua).  Le mie più grandi passioni sono il surf e il mare. Potete seguirmi sul mio sito internet, sulla mia pagina Facebook, su Twitter e su Instagram.

 

Vuoi che anche la tua storia sia pubblicata? Leggi il progetto Chi è traduttore alzi la mano e raccontaci il tuo percorso professionale. Ti aspettiamo!


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