CHI È TRADUTTORE ALZI LA MANO – LA STORIA VALENTINA DI BENNARDO
Pubblicato il 20 Febbraio 2019 alle 7:45 0 Commenti
Chi è traduttore alzi la mano – Storie di una professione
!هكذا الحياة (hakadhà al-hayyah, così è la vita) | di Valentina Di Bennardo
“I giovani devono viaggiare perché viaggiando si può capire gli altri. Viaggiando si può capire che le differenze sono un valore e non un problema” (Renzo Piano, architetto)
INTRODUZIONE
Ho letto molte delle storie raccontate dai colleghi e confesso una certa invidia nei confronti di chi ha da sempre avuto le idee chiare circa il proprio destino professionale in ambito traduttivo. Il mio approdo al mondo della traduzione non è stato, infatti, così lineare. Ho avuto altre esperienze di lavoro – di natura completamente diversa – che, però, sono state il trampolino di lancio verso la traduzione. Provo a raccontarvi, allora, la mia storia chiedendo anticipatamente venia per la prolissità.
CAPITOLO I
Era una bomboniera molto brutta che mio padre aveva portato dal lavoro e che mia madre – non capisco tuttora per quale masochistico motivo – aveva deciso di piazzare sopra l’unico televisore di casa che, come si sa, costituiva tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta un punto di riferimento per le famiglie italiane. La figlia di un collega di mio padre aveva appena conseguito il diploma di maturità magistrale e per l’occasione erano state realizzate queste bomboniere – alte ben 25 cm – che definirle kitch era davvero poco: la statuina rappresentava una maestra occhialuta di scuola elementare con abiti di inizio secolo XX che spiegava alla lavagna un’addizione a un alunno il quale, in pantaloncini corti, guardava sognante la sua beniamina… Un obbrobrio, davvero oscena. Ma per mio fratello – maggiore di 5 anni – era un Oscar, il premio da consegnarmi ogniqualvolta la sua sorellina correggeva una frase con qualche incespico grammaticale, traduceva in italiano un’espressione o una parola dal dialetto, faceva sfoggio della sua saccenteria. Sì, ho vinto il premio “Maestrina dell’anno” non so quante volte. All’epoca, però, tutto immaginavo tranne che diventare traduttrice. Adoravo l’insegnamento – mio fratello, dunque, non si sbagliava. Davanti a un pubblico di bambole e peluche, giocavo a fare l’insegnante di materie rigorosamente umanistiche. Attenzione al particolare, tendenza al perfezionismo, precisione, ero una piccola nazigrammar: sì, già allora presentavo le caratteristiche tipiche di un traduttore. Arrivata alle medie, ho scoperto il francese – mia prima lingua straniera – e fu amore a prima vista. Il passaggio al Liceo Linguistico era scontato per me nonostante i tentativi – vani, of course – degli insegnanti i quali mi incoraggiavano a proseguire piuttosto con gli studi classici. “No, signora, sua figlia non può che iscriverla al Liceo Classico, è perfetto per lei” diceva un docente. “Oppure, allo Scientifico” incalzava l’altro. Mia madre si era quasi lasciata convincere. Un giorno, un altro insegnante mi ha detto: “Linguistico, Di Bennardo? Per imparare le lingue bisogna viaggiare! E tu, c’hai i soldi? Tuo padre è un operaio!” Non ho osato rispondere, ma nella mia testa era straripato un fiume di parole che non oso trascrivere qui per rispetto del lettore, di me stessa, della lingua italiana e anche del siciliano. Ovviamente mi sono iscritta al Liceo Linguistico.
L’idea di una valigia e di mondi sconosciuti scuoteva i miei sogni adolescenziali al ritmo della musica dei Beatles, dei Queen e degli U2 i cui testi conoscevo a memoria. Lo studio dell’inglese e del francese, delle letterature e civiltà straniere, tutto per me era puro piacere, forse, un po’ troppo. “Un po’ di leggerezza e di stupidità”, per dirla con Battiato, mi avrebbero fatto godere di più l’adolescenza. Ad ogni modo, ho chiuso col massimo dei voti l’esperienza liceale e ho puntato all’università in attesa di spiccare il volo verso “mondi lontanissimi”.
CAPITOLO II
Durante l’esame orale della maturità avevo affermato di voler studiare all’università il tedesco, lingua secondo me centrale per l’Unione Europea, e di continuare con l’inglese. Quando ho presentato in segreteria la domanda di iscrizione al primo anno di Lingue e Letterature Straniere presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Palermo, avevo scelto come lingue l’inglese e… l’arabo che chiaramente con la Bundesbank non aveva niente a che fare. Perché? Avevo avuto un piccolo approccio alla lingua araba durante un corso pomeridiano organizzato a scuola in cui avevo appreso l’alfabeto e qualche parolina. Poche ore di arabo mi avevano proiettata verso un mondo davvero diverso dal mio ed ero sicura che avrei trovato quegli studi entusiasmanti.
Ah, quegli studi… Avete presente i tappeti magici de Le Mille e Una Notte? I veli delle danzatrici del ventre e quel senso di orientalismo e mistero con cui noi occidentali avvolgiamo il mondo arabo? Ecco, dimenticatelo, è la baggianata più grande che l’Occidente abbia mai potuto sfornare. La lingua araba, la letteratura, la filologia araba, l’islamistica, lo studio della civiltà arabo-islamica e della storia dei paesi arabi, la filosofia araba medievale: attraverso queste materie ho potuto approfondire una civiltà importante con un bagaglio culturale immenso e mille contraddizioni e criticità acquisendo un bisturi culturale importantissimo – ma non infallibile – in grado di separare i cliché dai fatti. Pragmatismo è la parola d’ordine e tuttora la volontà di smascherare i pregiudizi e le false verità sul mondo arabo-islamico non è venuta meno pur consapevole della difficoltà di inquadrare i paesi arabi nella contemporaneità dal punto di vista occidentale.
E, così, ho spiccato il volo verso mondi lontanissimi. All’università ero una macchina da guerra. Studiavo, sostenevo esami e viaggiavo. Non mi volevo fermare più. Ho vinto per merito e reddito tutte le borse di studio che trovavo.
Mettevo da parte e poi mi pagavo i corsi intensivi all’estero. Ho studiato arabo a Tunisi (mitico Institut Bourghiba!) e inglese a Malta (beh, avevo pure vent’anni, mi dovevo divertire, no?!)
Non mi bastava. Dovevo cominciare a costruirmi un curriculum, dovevo cominciare a fare esperienze di lavoro. Chi non ha conosciuto il Vecchio Ordinamento universitario forse non sa di avere perso – secondo il mio modesto e opinabile parere, non linciatemi! – una grande occasione, da un certo punto di vista. I corsi erano sì più lunghi, si studiava di più (i programmi erano interminabili) ma la preparazione era più approfondita. La pecca era una sola: che fare con una laurea in lingue senza una specializzazione professionale? Che cosa avrei fatto nella vita? Non lo sapevo (beh, niente di nuovo… il famoso gap formazione-lavoro, you know). Ibn Battuta, Najìb Mahfùz, Dante Aligheri e William Shakespeare da soli non bastavano. L’insegnamento non mi interessava più o, almeno, non costituiva più una mia priorità. L’avrei forse scoperto viaggiando. Mi hanno preso come receptionist in uno degli hotel di Disneyland Paris. Ma lavorare con Topolino e Minnie nel turismo di massa non mi faceva impazzire. E dopo tre mesi in Francia… si va in Siria! Se a Parigi avevo lasciato metà del mio cuore, a Damasco ho lasciato l’altra parte. Un’esperienza unica, totalizzante, che mi ha definitivamente forgiato la personalità. Sono ritornata a Palermo e ho discusso la mia tesi di laurea che, manco a dirlo, aveva preso spunto dalla mia esperienza siriana.
CAPITOLO III
Dopo la laurea cum laude e menzione, avevo le idee chiare: se non trovavo lavoro a Palermo, l’alternativa era l’estero. Non volevo, però, partire per lavorare in un pub o come babysitter. Puntavo alla carriera. Quando mi proposero un tirocinio retribuito in un’agenzia di eventi nella mia città, ho accettato. “Mi faccio un po’ di esperienza qui e poi me ne vado.” Non sapevo niente di organizzazione congressuale, progetti, pubbliche relazioni e bandi di gara a evidenza pubblica: l’ho imparato sul campo. Ma l’estero mi tirava a sé. A conclusione del semestre, ho preso la valigia e via in Essex prima e a Londra poi. Ho lavorato come tutor per un importante tour operator specializzato nell’organizzazione di corsi di inglese all’estero. Quel lavoro non mi dispiaceva. La mia responsabile mi aveva pure preso a cuore: il fidanzato, che viveva a Rabat, era marocchino, forse, il fatto che fossi arabista le ricordavo quel ragazzo. Di conseguenza, mi aveva offerto la possibilità di vivere con lei qualora avessi deciso di rimanere a Londra oltre la scadenza del contratto. La vita, però, è strana: è sempre pronta a fare saltare i piani. E zaaaaac! Dovevo ritornare a casa. Mia madre sarebbe stata operata di lì a poco al San Raffaele di Milano, un intervento chirurgico al cuore ci aspettava.
Ora, il Sud Italia è famoso per la mancanza di lavoro, soprattutto, qualificante. Io me la sono cavata: al ritorno in Sicilia, ho cominciato a lavorare per il Centro Orientamento e Tutorato universitario e ho ripreso i contatti con l’agenzia di eventi collaborando come hostess in qualche evento. Chiuso il contratto con l’università senza speranze di rinnovo, mi è stato proposto il contratto a tempo indeterminato come segreteria organizzativa dalla stessa agenzia di eventi con cui collaboravo occasionalmente. L’idea non mi dispiaceva e occuparmi di eventi era molto interessante; ho accettato la proposta. Mettiamoci pure – oltre alle vicende famigliari – che avevo incontrato un ragazzo che dopo cinque anni avrei sposato e così ho deciso di rimanere a Palermo. Ho lavorato stabilmente negli eventi dal 2006 al 2013, un arco di tempo durante il quale ho appreso moltissimo. Avevo cominciato a fare qualche traduzione appena laureata. Poca roba che, però, andava sempre più intensificandosi in quel periodo. Grazie ai contatti con gli architetti di famiglia (per intenderci, mio fratello e sua moglie), ho cominciato a collaborare come traduttrice con il Dipartimento di Architettura dell’Università di Palermo. Contemporaneamente sono venuta a conoscenza di un master di traduzione letteraria dall’arabo all’italiano a Vicenza e mi sono iscritta; le modalità di partecipazione nei weekend erano compatibili con l’impiego full-time. L’agenzia per cui lavoravo cominciava ad aggiudicarsi incarichi di internazionalizzazione che gestivo dalla progettualità alla rendicontazione et voilà! Si ritorna all’estero, baby. Ho accompagnato in missioni internazionali alcune Camere di Commercio e P.A. siciliane recandomi in Svezia, Regno Unito, Russia, India, Stati Uniti d’America e coordinato eventi di incoming. Mi occupavo contestualmente dell’aspetto traduttivo e reclutavo squadre di interpreti e traduttori. Sempre nello stesso periodo, scoprivo le tecniche di traduzione partecipando a corsi online specialistici. Ma non potevo seguire tutto: traduzione letteraria, traduzione tecnico-commerciale o eventi? Ed ecco che ancora una volta la vita fa capolino. I rapporti con l’agenzia di eventi si erano inclinati. Ho lasciato l’ufficio a gennaio 2013 e, preso tutto il coraggio che mi serviva, ho aperto la partita iva: da allora mi occupo come professionista freelance di traduzione, insegnamento per la formazione professionale e consulenza per l’internazionalizzazione.
EPILOGO
Mio padre è un gran simpaticone. Un giorno mi ha detto: “Ah, ah, ah… Volevi andare a vivere a Parigi e sei finita in provincia!”
Oggi vivo in campagna con mio marito e i nostri due cuccioli, un bimbo di 3 anni e un cane meticcio tutto coccole. Quindici anni fa non avrei mai immaginato di vivere a Carini, in provincia di Palermo, circondata dalla tipica vegetazione mediterranea. Dalla finestra che dà sulla mia scrivania, vedo gli alberi di ulivo e di limone, il verde delle montagne, l’orticello di casa, le mie rose, la cuccia del mio cane e i giocattoli di mio figlio sparpagliati fuori. Il contesto ideale per tradurre, credetemi. Alla fine, credo che il nostro lavoro sia uno dei più belli: ci fa viaggiare con le parole, crea ponti tra le culture, offre contatti e progetti sempre nuovi. Come l’event manager, il traduttore lavora dietro le quinte, è una presenza invisibile. Come Deus ex machina, cura il particolare con scrupolo ed è l’unico responsabile del successo del progetto.
Io, però, ho sempre la mia valigia pronta a portata di mano ma questa volta è accanto allo zainetto di Spiderman di mio figlio. Non si sa mai.
Dopo aver girovagato tra Europa, Nord Africa e Medio Oriente, ho deciso di ritornare nella mia isola natia, la Sicilia, terra di luce e ombre, per fissare la mia tenda. Classe 1980, con una laurea in lingue e letterature straniere e un master in traduzione editoriale e letteraria dall’arabo, mi occupo di traduzioni, insegnamento/formazione professionale e relazioni internazionali in ambito commerciale.
Prima di lanciarmi esclusivamente nel mondo delle traduzioni e della consulenza da freelancer, ho lavorato per diversi anni nell’event management acquisendo un know-how particolareggiato in fatto di managerialità, internazionalizzazione e Pubblica Amministrazione. Credo fermamente nell’aggiornamento professionale e nella serietà professionale. Forte del motto la comunicazione non ha barriere, supporto privati, aziende ed enti pubblici offrendo la mia consulenza.
Adoro i viaggi, la narrativa, la buona cucina, il rock e la mia famiglia.
Il mio sito web è www.vdbtranslations.it ma mi trovate anche su LinkedIn e Facebook (pagina VDB translations).
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