CHI È TRADUTTORE ALZI LA MANO – LA STORIA DI VALENTINA STAGNARO

Pubblicato il 23 Dicembre 2015 alle 8:25 1 Commento

Chi è traduttore alzi la mano – Storie di una professione.

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VALENTINA             (FC) Insomma, praticamente, un giorno mi chiama mia suocera / Ah, sì.. nel frattempo mi sono sposata / e mi chiede se le posso fare una traduzione //

VALENTINA             (eff) Boh, ci provo, ma io non lo so, lo sai che traduco altro, magari non sono capace.

LUCIANA                 (inFC) Tu provaci, tesoro / (IC) se va male.. te lo dico.

VALENTINA             (FC) Così ho scoperto che c’erano anche gli audiovisivi, da tradurre / Chi lo sapeva che potevo essere anche creativa? Finalmente andare a fare i corsi più bellissimi[1] del mondo.. che mi ero sempre negata perché non credevo di esserne degna.

VALENTINA             (IC) Amò–

AMÓ                       (sovr) Ancora con la storia che non sei capace?

VALENTINA             (inFC) Ma che ti devo dire. Io a Firenze non ci vado perché non li ho fatti manco bene, ‘sti testi.

AMÓ                       (DS) Ci vai e anche di corsa, perché non ti sopporto più.

[1] Così in or. [opp. “più interessanti”]

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Oh! Finalmente libertà di caratteri. Che ansia, dividere i tuoi discorsi per 42 caratteri spazi inclusi. Ecco l’ultimo pezzetto della mia storia. Ho avuto la lacrima facilissima, in questi anni, perché la frustrazione è stata il mio pane quotidiano. Sciapo. Raffermo. La frustrazione e la scontentezza mi hanno insegnato, però, che fanno schifo e che dovevo fare qualcosa per liberarmene. La prima cosa da fare è mente locale. «Un sì, un no, una linea retta, una meta», ci suggerisce Nietzsche ne L’anticristo, e non per nulla la chiama «formula della mia felicità». Quattordici ore al giorno per trecento euro al mese non va bene. Se avessi dovuto scommettere cinquanta centesimi sulla mia prima traduzione di un libro, un libro vero, me li sarei mangiati, piuttosto. Sono esuberante e cordiale, ora, ma sono stata depressa, esaurita, triste, cattiva, inconcludente, pigra, furiosa, maleducata, troppo grassa, troppo magra, troppo triste, troppo superficiale, troppo seria, non conoscevo autostima, non ascoltavo consigli, non facevo altro che chiedermi quando ci fosse il prossimo concorso per entrare alle Poste.

Obiettivi semplici e raggiungibili. Chi mi conosce? Dove posso conoscere gente? Soprattutto, cosa mi piace fare? Se avessi dovuto scommettere altri cinquanta centesimi sul fatto che la mia prima traduzione sarebbe stata di un libro sui serial killer, uno dei temi su cui sono più preparata (assieme alle motociclette e all’heavy metal), capirete bene cos’avrei potuto farne di quella monetina. «Gentile dottoressa, abbiamo da tradurre un libro sui serial killer e abbiamo pensato a Lei». Ero nel nuovo ufficio da meno di un mese e non potevo ballare una tarantella sulla scrivania del mio vicino di banco (già sufficientemente vessato dalla mia ingombrante presenza). Adesso sono felice, felicissima del mio lavoro. Adesso posso anche rispondere «Mi dispiace, il preventivo non può essere rivisto verso il basso», mentre prima avrei mugugnato un fantozziano «Com’è umano, Lei».

Sono fiera di qualsiasi prodotto esca dalla mia casella di posta e vi dico solo che ho sottotitolato dei film porno. Anche il reality più di merda, lo faccio con il cuore. Anche quello in cui Mary, che rutta ininterrottamente, sposa John, che viene accusato di omicidio ma poi adottano un boa costrictor. Mi sono affidata a grandi maestre e grandi maestri, ho consumato i sacri testi e la strada da percorrere è ancora molta. Non vedo l’ora, adesso che la mia moto, la metafora della mia vita, ha appena fatto il tagliando.

Siate, come dico sempre, la Brigata Sassari dopo Caporetto. Siate Stalingrado che resiste all’assedio dei tedeschi. Sbarcate ad Anzio con l’incoscienza di chi non sa che c’è Kesserling ad aspettarlo. Siate la Colombia di Valderrama che le suonò all’Argentina di Maradona. (Con questo nuovo taglio, sembro la sorella minore di Valderrama, tra l’altro). È il momento della frase a effetto tratta dal libro che mi tira su nei momenti in cui niente va come vorrei che andasse:

Comincerai a toccare il paradiso, Jonathan, nel momento in cui toccherai la velocità perfetta. Che non vuol dire volare mille miglia all’ora, o un milione, o volare alla velocità della luce. Perché qualsiasi numero è un limite, e la perfezione non ha limiti[1].

[1] È Il gabbiano Jonathan Livingston! La trad. è di P. F. Paolini.

Come già qualche altro genovese prima di lei, Valentina parte da Quarto e arriva a Roma per conquistarla, finendo per farsi conquistare a sua volta. Traduce dall’inglese e dallo spagnolo, ma ne preferisce le varianti del Nuovo Mondo; sottotitola e dice che un giorno farà la dialoghista. Frequenta un Master in traduzione audiovisiva, ma sogna la laurea in Filosofia. Nel tempo libero, rilegge Cime tempestose, va in palestra e cade con la moto. Ama i gatti, i suoi fiori e suo marito. Tifa Genoa perché così può lavorare durante il fine di settimana senza inutili distrazioni calcistiche. Lavora in un posto bellissimo e, se la invitate a prendere una birra, ci viene!

La trovate a Monteverde, al Pigneto, ad impallare il suo sito, a scrivere scemenze su Facebook o che se la tira su LinkedIn. Twitta poco, come Machete.

 


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Ti aspettiamo!

  1. Martina ha detto:

    …mentre leggevo pensavo: “Ma chi è che scrive così bene!?”, poi sono arrivata in fondo e ho visto la tua foto. Come ho fatto a non capirlo subito 🙂

    Bellissima storia!


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