Docere, movere e delectare
Pubblicato il 10 Maggio 2016 alle 17:05 0 Commenti
di Laura Baldini
Qualche settimana fa, sul Corriere, è stato pubblicato un interessante intervento del Prof. Cosimo Laneve, docente di Didattica Generale all’Università Aldo Moro di Bari. Si parla della lingua inglese e del suo ruolo nella didattica e nella ricerca.
Il professore sostiene che è opportuno utilizzare la lingua inglese nella ricerca poiché è questa la lingua in cui pubblica la stragrande maggioranza delle riviste specializzate, una scelta dettata dall’assoluto bisogno di superare le barriere nella comunicazione internazionale e globalizzata. Lo stesso docente si dichiara però contrario all’uso dell’inglese nella didattica, ovvero nella relazione insegnamento-apprendimento e non perché l’inglese “non sia una lingua degna di essere utilizzata”, ma perché quello che verrebbe a essere parlato sarebbe un “inglese basico”, impoverito, il cosiddetto “English for dummies”.
La posizione del professore mi sembra assolutamente condivisibile: nelle scuole e nelle università i saperi si trasmettono meglio nella lingua madre degli studenti (altra cosa è, ovviamente, l’insegnamento di una lingua straniera, per la quale la presenza di docenti madrelingua è indispensabile per un migliore e più efficace apprendimento).
Ma perché ci troviamo d’accordo nell’utilizzare l’Inglese nella divulgazione scientifica e siamo sostanzialmente contrari a adottare questa lingua in ambito didattico?
Nella produzione scientifica la lingua assume un ruolo secondario; di solito viene utilizzata una “lingua speciale”, un lessico, cioè, legato a un settore di conoscenze o a una sfera di attività particolari, impiegato per soddisfare i bisogni comunicativi e referenziali di quel determinato settore specialistico. È quindi una lingua asciutta, funzionale alla divulgazione di un concetto o di un risultato.
L’insegnamento, al contrario, non si deve limitare alla divulgazione: insegnare è, soprattutto, costruire una serie di mediazioni “per rendere perspicui gli elementi costitutivi del sapere”. E la lingua diventa un elemento essenziale: essa non si limiterà esclusivamente a formulare e argomentare logicamente un discorso, ma dovrà necessariamente esercitare un’influenza sull’atteggiamento di chi ascolta. Solo in questo modo l’insegnamento diverrà qualcosa di vivo, come lo è, del resto, la nostra lingua. Dice il Professore: “Non si tratta solo di docere, ma anche di movere (spronare, sollecitare, richiamare) […] e delectare (far provare piacere).”
È vero, le parole non possono essere considerate solo un mero insieme di fonemi mediante i quali l’uomo esprime delle nozioni; le parole sono soprattutto fantasia, immaginazione, riflessione, emozione, ritmo. Insomma, come sostiene il Professor Laneve, una lingua priva di colores e di tutte le componenti dell’oralità (timbro della voce, curve melodiche, intonazioni, accenti, ammiccamenti, pause) fa capire meno e apprendere peggio.
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