Errori di traduzione giuridica: problema di forma o di sostanza? – Un post di Luca Lovisolo
Pubblicato il 19 Giugno 2012 alle 20:36 0 Commenti
Oggi è nostro ospite Luca Lovisolo. Sicuramente molti di voi lo conoscono anche tramite Kommunika, il sito da lui amministrato, dedicato a chi desidera avvicinarsi al lavoro di traduttore o che già lavora nel settore linguistico, in Italia e nella Svizzera italiana.
Luca ha in tabella di marcia una lezione gratuita che si terrà on line il 26 giugno, dedicata al problema degli errori di traduzione nei testi legali. L’argomento mi tocca da vicino, come traduttrice legale, e gli ho chiesto di darci qualche anticipazione. L’aspetto di questo articolo che più mi ha colpito riguarda l’importanza, per il traduttore giuridico, di conoscere le fattispecie con le quali si confronta, di andare al di là del senso comune, sviluppando quella “sensibilità giuridica” che lo terrà al riparo da errori grossolani, come quello che il collega ci racconta.
L’articolo è tosto, così come lo è il diritto (sic!) ma vale la pena arrivare fino in fondo. Tradurre il diritto è possibile, anche per chi non è esperto del settore. Non importa essere giuristi, basta aver voglia di rimboccarsi un po’ le maniche.
Buona lettura, e grazie Luca!
In diritto, la forma diventa rapidamente sostanza. Gli errori di traduzione in un testo legale comportano insidiose conseguenze che vanno oltre le parole. Fra le loro cause vi è la confusione tra il linguaggio comune e quello giuridico, in particolare l’utilizzo di termini che nella lingua di tutti i giorni vengono usati come sinonimi, ma che in diritto producono effetti molto diversi. In questo articolo analizzerò un caso frequente, che può essere preso a paradigma per altri, trovato in una traduzione pubblicata da un’associazione professionale come modello per la stesura di contratti di agenzia fra imprese italiane e tedesche.
In italiano si definisce comunemente «rappresentante» o «rappresentante di commercio» colui che promuove la vendita di prodotti o servizi di un’azienda su un certo territorio. «E’ passato il rappresentante della XY», oppure: «I rappresentanti si ricevono solo il lunedì mattina». Gli esempi sono infiniti.
La parte che assume stabilmente l’incarico di promuovere per conto di un’altra, dietro una retribuzione solitamente conteggiata a provvigioni, la conclusione di contratti in una zona geografica determinata, agisce nel quadro di un contratto di agenzia: in Italia, tale contratto è regolato dagli articoli 1742 e seguenti del Codice Civile (d’ora in avanti: CC IT); nel diritto svizzero la materia è regolata dagli artt. 418a e seguenti del Codice delle obbligazioni (d’ora in avanti: CO CH). In Germania, la normativa si ritrova agli articoli 84 e seguenti del Codice di commercio (Handelsgesetzbuch, d’ora in avanti: HGB DE). Nel diritto europeo vige dal 1986 la direttiva 86/653/CEE del Consiglio del 18 dicembre 1986, relativa al coordinamento dei diritti degli Stati membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti.
La traduzione qui presa in esame si riferisce esattamente a questa fattispecie e fa esplicito riferimento alla direttiva europea appena citata: si tratta di un modello di Handelsvertretungsvertrag reso disponibile in versione con testo a fronte, italiano e tedesco.
Sin dal titolo, «Contratto di rappresentanza», la traduzione presenta un errore che si ripete indefessamente per tutto il testo: il termine Vertretung viene reso con il traducente letterale di «rappresentanza». La traduzione prosegue definendo «rappresentante» il Vertreter e «rappresentata» la sua mandante.
Se è vero che il senso comune e ogni dizionario suggeriscono effettivamente per Vertretung e Vertreter o Handelsvertreter la traduzione di «rappresentanza» e «rappresentante» (o «rappresentante di commercio»), il linguaggio codicistico è ben altro: vi si parla infatti, sia nel diritto italiano sia in quello svizzero in versione italiana, di «agente», non di «rappresentante».
La differenza non è di pura accademia. «Rappresentanza», infatti, è quell’istituto del diritto che conferisce a un soggetto «rappresentante» il potere di sostituirsi a un altro nel compiere atti giuridici i cui effetti ricadono appunto sull’altro, detto «rappresentato». In particolare, nella rappresentanza diretta il rappresentante agisce «in nome e per conto» del rappresentato. Va qui ricordato, per inciso, che l’espressione «in nome e per conto» non è una mera convenzione linguistica: agire «per conto di» oppure «in nome e per conto di» sono espressioni che indicano due fattispecie ben diverse, con importanti conseguenze sulla ricaduta degli effetti giuridici dell’atto compiuto.
Non casualmente il CC IT definisce «agente» chi promuove la conclusione di contratti per conto di altri, evitando accuratamente il termine «rappresentante», che dischiuderebbe tutt’altro scenario. L’agente, infatti, «promuove la conclusione di contratti per conto» della sua controparte, non «li conclude in nome» di essa. Ora: l’agente può essere dotato di poteri di rappresentanza (facendosi lecita in questo caso, e solo in questo caso, la definizione di «agente rappresentante»), ma ciò comporterebbe il nascere un rapporto contrattuale diverso dal contratto d’agenzia. Si formerebbe infatti un mandato di rappresentanza, che, come detto, comporta un ben diverso rapporto giuridico non solo fra le parti, ma anche verso i terzi.
Questi limiti sono tracciati ben chiaramente dall’art. 1745 CC IT, che definisce il perimetro dei poteri di rappresentanza dell’agente, limitandolo, in mancanza di un esplicito mandato, alla ricezione di reclami in merito all’esecuzione del contratto e al promovimento di azioni cautelari verso i diritti del suo mandante. Come conferma la Cassazione italiana in Cass., sez. III, 28.2.1967, n. 439, l’agente agisce solo «per conto» della controparte, non «in nome e per conto».
Inequivocabile anche il diritto svizzero, all’art. Art. 418e CO CH: «Si presume che l’agente è autorizzato solo a trattare affari» – non perciò a concludere contratti – e (come in Italia) a rappresentare il mandante solo in un ben delimitato numero di casi.
Anche in Germania, l’art. 91 HGB DE presenta previsioni paragonabili a quelle del 1745 CC IT. Particolarmente illuminante è l’art. 91a HGB DE, che tutela l’affidamento del terzo che abbia concluso in buona fede un contratto con un agente nella convinzione che questi fosse in realtà dotato di potere di rappresentanza (Vertretungsmacht). L’articolo porta l’attenzione sul problema degli effetti verso terzi: se A stipula con B un contratto per acquistare merce da C ritenendo in buona fede che B sia «rappresentante» di C, è convinto di avere validamente stipulato un contratto con C e di avere perciò diritto alla consegna della merce. Se invece B non è rappresentante di C ma solo suo «agente», B non ha potere di concludere patti che obblighino C alla consegna della merce ad A e il contratto in questione sarebbe nullo.
Un intermediario che si presenti a un terzo come «rappresentante» con «contratto di rappresentanza» ha perciò poteri ben diversi da chi opera come «agente» con «contratto di agenzia». Anche la sua controparte non dovrà essere definita pericolosamente «impresa rappresentata» (traduzione letterale di vertretene Firma), come è stato fatto nel testo qui in esame. Ogni tipologia di contratto ha un proprio universo linguistico: nel contratto di agenzia, il diritto italiano definisce la controparte dell’agente con il termine di «preponente», il diritto svizzero in versione italiana «mandante» (fonti: menzionate). Anche il testo italiano della direttiva europea citata in apertura parla esplicitamente di «agente commerciale», anche se in alcuni punti utilizza il termine «rappresentanza commerciale», con un’ambiguità linguistica purtroppo non infrequente nelle versioni italiane del diritto unionale.
La traduzione italiana qui in oggetto, che dovrebbe perciò chiamarsi «contratto d’agenzia» e non «contratto di rappresentanza», presenta al lettore italiano rapporti giuridici profondamente diversi da quelli intesi nel testo d’origine in lingua tedesca. Nel nostro settore sembra talvolta vigere la convinzione che, dopo il traduttore, vi sia sempre «qualcuno» che verifica i testi e rettifica eventuali inesattezze di merito: purtroppo non è così. Lo dimostra non solo questa traduzione, che è stata pubblicata errata, ma anche una serie di norme di diritto internazionale sostanziale che vengono convertite in leggi nazionali in base a traduzioni. Gli errori della traduzione sopravvivono nel testo della legge promulgata, suscitando grattacapi in chi quelle leggi dovrà poi interpretare e applicare. Già nei rapporti privatistici tra aziende, del resto, una sola parola errata diventa facilmente causa di controversie contrattuali.
Spesso si dimentica che in molte circostanze il traduttore è l’unica interfaccia che conosce ad alto livello sia la lingua d’origine sia quella di destinazione. Egli perciò è il solo in grado di individuare i punti nei quali la versione di un testo giuridico in altra lingua può comportare dei problemi, a dispetto dell’apparente corrispondenza testuale. Nel caso analizzato qui, il traduttore non si è neppure posto il problema che il termine Vertretung potesse significare qualcos’altro se non «rappresentanza». Gli è sfuggita la valenza giuridica del fondamentale istituto di diritto privato che si cela dietro questo termine, al quale il traduttore ha senz’altro attribuito il senso utilizzato nel linguaggio comune, dove le espressioni «agente», «rappresentante», «venditore», «agente rappresentante» vengono usate di fatto come sinonimi.
In un mondo qualitativamente ogni giorno più esigente, il traduttore, a fianco di quelle linguistiche, deve disporre di solide competenze di contenuto, tanto più profonde quanto più delicato è il settore in cui traduce. Questa considerazione non vale solo in campo giuridico, ma in tutti quei settori delicati dove i committenti tollerano sempre meno che il traduttore si affidi unicamente alla lettera del testo, anche se supportato da ricerche terminologiche e contestualizzazioni culturali. Nel caso citato qui, il traduttore non ha ricercato nelle fonti le giuste definizioni, poiché ai suoi occhi la parola «rappresentanza» non ha stimolato quell’attenzione che suscita in chi legge un contratto con la necessaria sensibilità giuridica.
La traduzione di testi legali molto complessi, come le sentenze di legittimità o gli atti di grandi procedimenti internazionali, è solitamente riservata a operatori specializzati, che non possono fare a meno di una profonda preparazione giuridica. Un traduttore professionista, però – anche non specializzato – non può certo rifiutare la traduzione di un banale contratto d’agenzia o di un semplice atto giudiziario civile. D’altra parte non può mettere in gioco la propria credibilità non distinguendo un agente da un rappresentante. Evidentemente non si richiedono al traduttore le competenze del giurista: può essere determinante però, per il linguista, sviluppare quella sensibilità che, di fronte a un testo legale, può far suonare in lui quei «campanelli d’allarme» che richiamano la sua attenzione sugli effetti giuridici di ciò che legge e scrive.
Due righe sull’autore:
Luca Lovisolo ha concluso i propri studi umanistici in Italia, di lingua tedesca in Germania e di diritto in Svizzera tedesca. Ha lavorato per numerose aziende del Nord Italia come traduttore e consulente di commercio internazionale. Vive in Svizzera come traduttore giuridico e pubblicista, intervenendo su temi professionali e d’attualità internazionale. Amministra il blog per traduttori www.k-kommunika.ch. I suoi corsi via Internet di diritto per traduttori coinvolgono partecipanti da tutta Europa.
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