La Befana di Joyce

Pubblicato il 2 Gennaio 2016 alle 14:40 9 Commenti

di Laura Baldini

Nei corridoi della scuola media dove insegno, dopo aver assistito allo storpiamento creativo, ma inesorabile, della parola epifania da parte degli studenti (“pifania” “befania” “befanina”…), ho deciso di spiegar loro da dove deriva il termine e di raccontare alcune curiosità legate a questa ricorrenza.

Ho iniziato dall’etimologia: epifania deriva dal greco epifaneia, che vuol dire ‘manifestazione, apparizione, venuta, presenza divina’. I greci utilizzavano questo termine per indicare il manifestarsi di una divinità; miracoli e visioni divine venivano chiamate epifanie. Inoltre, fin dall’antichità, la dodicesima notte dopo il Natale era ritenuta una notte magica, durante la quale potevano accadere eventi speciali: era la notte dedicata alla Luna, e il termine epifania veniva usato per definire proprio ciò che si verificava in quella notte, legato alla manifestazione della luce lunare.

La befana (e il suo personaggio) nasce invece da una “corruzione lessicale” della parola epifania e, soprattutto in Italia, veste i panni di una simpatica vecchietta che scorrazza sui camini delle case, dispensando dolci o carbone a seconda di come si sono comportati i bambini durante il corso dell’anno.

Una leggenda vorrebbe che i Re Magi, diretti a Betlemme per portare i doni alla capanna di Gesù Bambino, non riuscendo a trovare la giusta via, avessero chiesto a una vecchietta di condurli a destinazione. La vecchia però non volle uscire di casa per accompagnarli e negò il suo aiuto. Più tardi, pentitasi del suo comportamento, preparò un cesto di dolci e uscì a cercarli. Fece sosta in ogni casa che trovò lungo il suo cammino, donando caramelle ai piccoli che incontrava, nella speranza che uno di loro fosse Gesù bambino.

In Francia al posto della vecchietta, ci sono i Re Magi che portano i doni; il 6 gennaio si prepara la tradizionale “Galette des Rois”, una tipica torta che nasconde la statuina di un magio: chi la trova diventa “re del giorno” ed è suo l’onere e l’onore di offrire la torta l’anno successivo.

Come in Francia, anche in Spagna si attendono i Re Magi e i bambini usano svegliarsi molto presto per vedere i regali che Los Magos hanno lasciato (il giorno precedente mettono davanti alla porta acqua per i cammelli assetati e cibo).

Anche la Russia festeggia il 6 Gennaio: la chiesa ortodossa, però, in questo giorno celebra il Natale. Secondo la leggenda, in Russia, i regali vengono portati da Padre Gelo accompagnato da Babuschka, una simpatica vecchietta che ricorda molto la nostra befana.

In Germania l’epifania viene festeggiata solo in pochi stati e viene comunque considerato un giorno feriale, si lavora come al solito e i bambini vanno regolarmente a scuola. Lo stesso accade in Inghilterra.

In Inghilterra, anzi, nella letteratura inglese, il termine “epifania” merita un ruolo di primaria importanza, non come festa, però, ma come tecnica narrativa. Il termine viene infatti ripreso nel suo equivalente “epiphany” da James Joyce per indicare momenti di rivelazione nella vita di un personaggio. Le epifanie possono corrispondere a dettagli o a ricordi sepolti per lungo tempo nella memoria che all’improvviso riemergono e fanno scaturire sensazioni ed emozioni talvolta malinconiche e dolorose. Le epifanie di Joyce ricordano i “moments of being” di Virginia Woolf, cioè momenti percettivi, talvolta visionari, ricchi di intensa emotività.

La parola però, all’uso di Joyce, anticipa l’accento, si parla di epifània. Nelle sue opere l’epifània ricorre molto spesso al negativo: i suoi personaggi hanno talvolta delle apparizioni così sconvolgenti da portarli alla paralisi. Evelina, la giovane donna che dà il titolo a uno dei racconti dei Dubliners, ne è un chiaro esempio.

La campanella mi ricorda che l’ora è finita; i ragazzi escono rumoreggiando dall’aula prima del cambio di insegnante. Uno studente dalla soglia dell’aula accanto chiede a uno dei miei: “Che avete fatto?” e il mio studente con aria compita risponde “La prof ci ha spiegato la befana di Gioisse, mapperò era una befana cattiva” … La prima reazione sarebbe quella di far apparire sulla finestra della classe un’enorme emoticon, quella con gli occhioni spaesati e perplessi. Poi, che dire? Ognuno ha la sua befana… Joyce compreso!

  1. Germana ha detto:

    Ma che bello! Grazie, posso condividere?

  2. antonella costanzo ha detto:

    Di tutte le peculiarità che riguardano la festa dell’epifania, un fatto è certo: la befana incute timore nei bambini e negli adolescenti, mentre non è rassicurante per gli adulti. Rispetto a babbo natale, le festività della fine dell’anno passato sono l’inizio di nuove responsabilità da affrontare nel nuovo anno. E’ il tempo e l’uso che se ne fa ad arricchire l’immaginario dell’epifania, che Wolf e Joyce hanno connotato con l’esperienza del trauma

    • Sabrina Tursi ha detto:

      Sì, c’è da dire che nel mondo anglosassone la Befana non esiste, quindi il riferimento a Joyce e alla Woolf riguardava solo l’aspetto linguistico. Comunque, è vero, è l’uso che se ne fa e la tradizione che si segue a connotare l’epifania.
      Grazie Antonella per il tuo commento e buona festa!
      Laura

  3. valentina ha detto:

    Ora però ho voglia di una torta dei re magi! Grazie Laura, bellissimo post.


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