La letteratura di viaggio | un post di Barbara Ronca
Pubblicato il 17 Febbraio 2014 alle 9:00 1 Commento
La letteratura di viaggio è un macrogenere editoriale di difficilissima definizione e collocazione, dotata com’è, secondo le parole di Pino Fasano, di “un’ampiezza di spettro che rende difficile identificare uno specifico univoco” (Pino Fasano, Letteratura di Viaggio, in Enciclopedia Italiana, appendice VII, Treccani, 2007).
Ricadono infatti sotto questa definizione un gran numero di testi caratterizzati da intenti, linguaggi ed esigenze traduttive differenti: dai reportage ai diari, dai romanzi d’avventura ai saggi, dai resoconti di viaggi allegorici alle riflessioni filosofiche (senza contare quei testi che non sono ascrivibili alla letteratura di viaggio ma rientrano comunque nel novero delle scritture di viaggio: guide turistiche, documentari, blog).
Ma non è solo la labilità della definizione che rende complicato approcciarsi, soprattutto da traduttori, al genere: il testo di viaggio è infatti doppiamente straniante, sia perché, come già detto, è inafferrabile (non ci aiuta quindi con l’appiglio di uno schema o una struttura, se non ripetitivi, quantomeno riconoscibili), sia perché il suo scopo principale è riportarci l’immagine di luoghi e realtà lontani ed “esotici”. Il nostro compito è reso quindi ancora meno agevole dalla presenza di un intero mondo culturale a noi estraneo, che si pone non come lo sfondo su cui l’azione si svolge, ma come nucleo stesso della narrazione.
Inoltre, non ci sono limiti al modo in cui un autore può narrare il suo percorso, reale o immaginario: coi toni eruditi di un accademico, col linguaggio stringato di un giornalista, con l’ironia di uno scrittore umoristico, con i termini ormai desueti di un narratore morto centinaia di anni fa, con la voce autorevole di chi ormai è diventato un classico.
È difficile muoversi con sicurezza tra questo intrico di variabili. Eppure tradurre un testo di viaggio può essere un’esperienza entusiasmante; per portarla a termine, però, è necessario compiere scelte specifiche.
È necessario dimostrarsi capaci di muoversi tra i diversi micro-generi, riconoscendone le caratteristiche fondanti nel testo che si ha davanti; adottare un approccio multidisciplinare e in qualche misura “redazionale” alla traduzione, aumentando il tempo e la cura dedicati alle operazioni di ricerca e verifica; spaziare tra linguaggi e temi specialistici, senza tradire la voce dell’autore; domandarsi cosa si debba tenere, cosa modificare, e cosa perdere per rimanere fedeli alle intenzioni originarie del testo, più di quanto non si farebbe in altri casi.
In poche parole i traduttori di viaggio devono essere flessibili e autonomi, ma anche rigorosi e puntuali; creature ibride, questi professionisti spaziano tra storia, gastronomia, geografia, letteratura (si diventa, alla fine, un po’ tuttologi), muovendosi esattamente come un viaggiatore farebbe in un luogo sconosciuto: cartina alla mano e un po’ di spirito d’avventura.
Traduttore e viaggiatore, del resto, non sono poi tanto diversi: entrambi si avvicinano all’“altro da sé” per conoscerlo meglio e conoscersi meglio, ponendosi come ponti, raccordi tra la cultura (e la lingua) di partenza e la cultura (e la lingua) d’arrivo. Come spiega Franca Cavagnoli citando Lotman e Schleiermacher nel suo La voce del testo, “dal viaggio affascinante, misterioso, lungo la cultura del confine che è il territorio proprio della traduzione, dal rapporto tra la cultura propria e la cultura altrui germoglia la possibilità di una fecondazione ed evoluzione reciproca”. (Franca Cavagnoli, La voce del testo, Feltrinelli 2012).
Corso ‘Tradurre la letteratura di viaggio‘ Pisa 15 marzo.
Ricordiamo che le iscrizioni sono aperte e che è possibile iscriversi a TARIFFA RIDOTTA fino al 18 FEBBRAIO.
Informazioni e modulo per l’iscrizione a stl.formazione@gmail.com
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