La traduzione e le procedure fallimentari – Un post di Luca Lovisolo
Pubblicato il 4 Settembre 2012 alle 21:58 1 Commento
Torna a scrivere per noi Luca Lovisolo, che sicuramente molti di voi conosceranno tramite Kommunika, il sito da lui amministrato, dedicato a chi desidera avvicinarsi al lavoro di traduttore o che già lavora nel settore linguistico, in Italia e nella Svizzera italiana.
Oggi ci parla dell’istituto del Fallimento e della traduzione di documenti inerenti alla procedura fallimentare.
Luca ha sintetizzato benissimo un procedimento molto articolato, la cui complessità dà spesso adito a equivoci terminologici che si possono concretizzare in errori nella traduzione. Riporto l’articolo per intero, troverete l’essenziale della terminologia che caratterizza questo specifico procedimento.
Buona lettura e grazie Luca!
La traduzione e le procedure fallimentari
La traduzione di documenti concernenti una procedura fallimentare chiama il traduttore a un compito delicato. In questo articolo descriverò in breve il senso della procedura fallimentare e alcuni suoi cardini terminologici nel diritto italiano e in quello svizzero in versione italiana. Cos’è, intanto, il «fallimento?»
In alcune culture il fallimento di un’impresa è collegato nel sentire comune a un pregiudizio morale non sempre prudente. E’ vero che esistono casi di fallimento orditi per frodare i creditori o il fisco (perseguiti con il reato di bancarotta fraudolenta) ma la stragrande maggioranza dei fallimenti avviene perché un’impresa ha mancato i suoi obiettivi, non necessariamente per dolo o colpa grave dei suoi amministratori, ma forse per loro negligenza (bancarotta semplice in Italia o cattiva gestione in Svizzera, art. 165 CP CH) o più spesso per un complesso di circostanze interne ed esterne, talvolta non facili da dirimere, il cui esito è che l’impresa non è più in grado stabilmente di far fronte ai suoi debiti. Questa incapacità è definita in diritto insolvenza.
Se un’impresa è insolvente vi sono ripercussioni che si estendono alla collettività: si pensi ai mancati introiti per il fisco, ai fornitori che non vengono pagati e alla perdita di posti di lavoro. Ecco allora che gli Stati intervengono con le procedure fallimentari. In Italia la materia è regolata dalla Legge fallimentare (Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267 con successive modifiche e integrazioni), in Svizzera dalla Legge federale dell’11 aprile 1889 sulla esecuzione e sul fallimento (LEF), anch’essa oggetto di numerosi aggiornamenti.
Scopo della procedura di fallimento è distribuire il debito dell’impresa insolvente su tutti i creditori secondo il principio di equità detto par condicio creditorum. Gli attivi dell’impresa debitrice, cioè i suoi beni, formano la cosiddetta massa o patrimonio fallimentare da ripartire fra i creditori, suddivisi in privilegiati (ad esempio il fisco e i lavoratori dipendenti dell’impresa, da soddisfare per primi) e chirografari (tutti gli altri). S’inseriscono poi le frequenti problematiche connesse alla riserva di proprietà (o patti di riservato dominio) sui beni della debitrice, che non possiamo approfondire in questa sede.
La procedura di fallimento parte da lontano: quando un debitore non paga ed è costituito in mora inizia il cosiddetto procedimento monitorio, che in Italia prende forma di un decreto ingiuntivo (emesso da un giudice) e in Svizzera di un precetto esecutivo (emesso senza intervento giudiziale da un apposito ufficio detto Ufficio di esecuzione e fallimenti). Se i passi successivi attraverso i contraddittori, le formule esecutive e i pignoramenti infruttuosi (che in Svizzera sfociano nel cosiddetto attestato di carenza beni) certificano che il debitore non è in grado definitivamente (non a causa di uno stato transitorio di crisi) di pagare il debito, né in denaro liquido né pignorando suoi beni, il debitore, nel nostro caso un’impresa, si trova in uno stato di insolvenza.
L’insolvenza perciò è uno stato, non una procedura, come talvolta si legge nelle traduzioni (frutto della versione frettolosa dei distici Insolvenzverfahren o insolvency procedure). Va chiarito qui un altro equivoco terminologico frequente, perché mutuato dal linguaggio comune: l’impresa insolvente non dichiara fallimento, semmai lo chiede al giudice. Il fallimento può essere chiesto anche da un creditore: nella realtà questo è il caso più comune, poiché l’impresa solitamente cerca di evitare in ogni modo di fallire. Chi è interessato a ottenere il fallimento di un’impresa e ha esperito tutte le fasi precedenti di esecuzione, deposita presso il tribunale competente una istanza di fallimento (in Italia) o, in Svizzera, inoltra all’Ufficio di esecuzione e fallimenti una domanda di continuazione.
Sin qui l’impresa debitrice è sì in stato d’insolvenza ma non è automaticamente fallita e un eventuale fallimento non comporta necessariamente per gli amministratori i reati di bancarotta già sopra richiamati. E’ essenziale distinguere anche nell’uso dei termini, per non rischiare di dare al destinatario della traduzione informazioni pericolosamente inesatte. A dichiarare il fallimento con un’apposita sentenza (dichiarazione di fallimento) è il giudice competente. Prima di tale dichiarazione però possono interporsi vari fatti.
Il tribunale informa l’amministratore dell’impresa insolvente (a questo punto fallenda) della richiesta di fallimento convocandolo con il creditore in un’udienza prefallimentare (in Italia) oppure, in Svizzera, inviandogli una comminatoria di fallimento alla quale (salvo opposizione) segue una udienza fallimentare. Durante l’udienza l’impresa insolvente può opporsi al fallimento dichiarando di essere ancora in grado di proseguire l’attività, oppure (in Italia) di non soddisfare i requisiti dimensionali o soggettivi richiesti per fallire. In Svizzera il giudice può decidere una moratoria in presenza di un concordato con il quale l’impresa e i creditori si accordano sulla soddisfazione parziale delle pretese, allo scopo di evitare il fallimento (procedura simile in Italia è il concordato preventivo con i rispettivi accordi di ristrutturazione del debito, da non confondersi con una procedura omonima conosciuta dal diritto tributario).
In Italia, per le imprese di grandi dimensioni il giudice può altresì ritenere di non dichiarare il fallimento ma di avviare l’impresa insolvente alla procedura di amministrazione straordinaria, che avviene di concerto con il Ministero delle attività produttive e serve a salvaguardare il patrimonio di aziende di particolare rilievo economico e occupazionale per il territorio (si ricordi, tra i più recenti, il noto caso Parmalat).
Se il giudice ritiene di dichiarare il fallimento, il debitore ha diritto di reclamo, come avverso qualunque altra decisione giudiziale. In mancanza di opposizione, in Italia il giudice nomina allora un curatore fallimentare, che convoca i creditori. In Svizzera, il fascicolo (o incarto, come si preferisce dire nei nostri tribunali) torna all’Ufficio di esecuzione e fallimenti che pubblica la cosiddetta grida di convocazione dei creditori (ecco che negli uffici giudiziari elvetici vaga ancora un indimenticato superstite del vocabolario manzoniano!). A questo punto ogni creditore decide se insinuarsi nel fallimento, cioè se far valere i propri diritti per ottenere una quota di quanto sarà ricavato dalla liquidazione del patrimonio dell’impresa debitrice (a questo punto fallita). Il curatore fallimentare sotto la vigilanza del giudice (in Italia) o l’Ufficio di esecuzione e fallimenti sotto la vigilanza della Camera di esecuzione e fallimenti (in Svizzera) procedono così alla liquidazione della massa e ripartizione del ricavato sui creditori.
Infine, in Italia, il curatore fallimentare inoltra una relazione alla Procura della Repubblica, che accerterà la sussistenza di eventuali reati di bancarotta a carico degli amministratori dell’impresa fallita. In Svizzera è l’Ufficio di esecuzione e fallimenti che notifica al Ministero pubblico possibili fatti di rilevanza penale.
Se tutte le procedure giudiziarie hanno una loro precisa meccanicità, la procedura di esecuzione e fallimento è se possibile ancora più inesorabile, nel suo andamento scandito da termini, citazioni e contraddittori. Le differenze sono notevoli tra i vari Paesi e ogni Stato può conoscere procedure distinte per categorie di debitori o imprese di diverse dimensioni. Chi è creditore di un’impresa fallenda o fallita deve spesso decidere in poco tempo i passi migliori da compiere per tutelare i propri interessi. E’ essenziale perciò che il traduttore fornisca un testo in grado di comunicare con estrema chiarezza lo stato della procedura e le informazioni rese. Ciò permetterà a tutte le parti coinvolte di prendere le decisioni più opportune, in una situazione, quella del fallimento, che può comportare drammi e difficoltà, ma che, se gestita correttamente, può anche rivelarsi il minore dei mali. Pur nella sua problematicità, il caso di fallimento fa parte anch’esso della vita di un sistema economico sano.”
Vi informo anche che Luca ha in tabella di marcia un seminario gratuito per traduttori che si terrà on line l’11 settembre: «Affitto, locazione o noleggio? I contratti, questi sconosciuti». Potete iscrivervi QUI e ascoltare la lezione, che introdurrà la sessione autunnale del suo corso «Il diritto per tradurre».
Due righe sull’autore:
Luca Lovisolo ha concluso i propri studi umanistici in Italia, di lingua tedesca in Germania e di diritto in Svizzera tedesca. Ha lavorato per numerose aziende del Nord Italia come traduttore e consulente di commercio internazionale. Vive in Svizzera come traduttore giuridico e pubblicista, intervenendo su temi professionali e d’attualità internazionale. Amministra il blog per traduttori www.k-kommunika.ch. I suoi corsi via Internet di diritto per traduttori coinvolgono partecipanti da tutta Europa.
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Volevo complimentarmi per la chiarezza dell’articolo. Sempre sulle tematiche di diritto fallimentare consiglio la lettura di diversi articoli d’autore contenuti sul sito http://www.ilfallimentarista.it .