MORFOLOGIA ITALIANA PER TRADUTTORI – STL INTERVISTA FRANCESCO URZÌ

Pubblicato il 21 Marzo 2015 alle 19:08 0 Commenti

In vista del nostro corso on line di morfologia italiana per traduttori (ora disponibile sul sito in formato on demand) abbiamo intervistato il docente, Francesco Urzì che ci ha dato anche qualche anticipazione sul lavoro che svolgerà durante il webinar.
Buona lettura e grazie, Francesco, per il tempo che ci hai dedicato!
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Puoi spiegarci cosa si intende con “coesione testuale” e in che modo imparare a “scrivere coeso” può essere utile a un traduttore?

Si dice che un testo è “coeso” quando mostra una chiara “progressione tematica”, in altre parole quando il tema (ciò di cui si sta parlando) e il rema (l’informazione nuova che viene data riguardo a tema) si succedono in modo fluido e le connessioni fra un periodo e l’altro sono chiaramente segnalate, con un accorto uso della punteggiatura, degli avverbi frasali (ad es. “comunque”, “tuttavia”), dell’anafora (ad es. la ripresa pronominale) e di altri accorgimenti sintattici. L’uso sapiente di tutte le risorse della morfologia e della sintassi italiana permette di sfrondare il periodo dagli elementi non rilevanti dal punto di vista comunicativo, senza perdere nulla del significato. E questo comporta notevoli vantaggi di tempo, non solo perché “si scrive meno”, ma anche come conseguenza dell’arricchimento delle risorse linguistiche prontamente disponibili al traduttore.

Ci anticipi quale tipologia di testi o quali materiali linguistici saranno affrontati durante il corso?

Saranno esaminati esempi testuali tratti da corpora come Google, Eurlex, SketchEngine, Repubblica SSLMIT. Molti dei testi analizzati provengono dalle Istituzioni europee, sia per le dimensioni del corpus sia perché le traduzioni euroistituzionali illustrano molto bene determinate tendenze dell’italiano delle traduzioni.

Cosa significa produrre una traduzione che sia indistinguibile da un testo nativo, e quali sono le maggiori difficoltà in questo senso?

Significa innanzitutto prendere coscienza di quelle che sono le tendenze tipiche dell’italiano tradotto, tendenze che sono in gran parte “universali”, si manifestano cioè per tutte le combinazioni linguistiche e per tutte le lingue d’arrivo. Il passo successivo è arricchire il proprio corredo linguistico con delle valide alternative a queste tendenze, quelle che l’analisi dei corpora identifica come tratti caratteristici dei testi nativi rispetto ai testi tradotti. Tengo a precisare che il mio approccio qui è puramente descrittivo e non si propone di valutare l’italiano tradotto nell’ottica del “come si traduce”. Solo la fine analisi linguistica e appunto l’esame dei corpora permette infatti di identificare con certezza determinate tendenze nell’italiano delle traduzioni.

La difficoltà maggiore consiste nel sottrarsi alla “attrazione fatale” esercitata dalla lingua sorgente e nel riequilibrare nella lingua d’arrivo il focus informativo da conferire a questa o quella parte del testo. So che questo potrà suonare astratto, ma gli esempi forniti durante il corso serviranno a chiarire il concetto.

Si stanno levando molte voci, da più parti, in difesa della lingua italiana, minacciata, per esempio, dal dilagare degli anglismi. Qual è la tua posizione in merito? È possibile arrestare questa evoluzione anglofona o bisogna accettarla come uno dei molti processi di cambiamento che caratterizzano le lingue nel tempo

Personalmente non ritengo che, se minaccia c’è, questa sia di carattere solo lessicale, ossia che si tratti solo di un eccesso di prestiti e calchi. Adottando l’atteggiamento puristico del tradurre “tutto e a tutti i costi” in nome della tutela della nostra lingua, si finisce spesso per creare ambiguità. Questa osservazione non riguarda solo l’informatica e la finanza: si pensi a termini inglesi come empowerment o outreach, che sono ormai entrati nell’uso specialistico e, di riflesso, nella prosa giornalistica. E’ vero d’altra parte che sentiamo in Italia la mancanza di un’Accademia linguistica che emani delle direttive d’uso. L’Accademia della Crusca fa quello che può ma l’esiguo budget di cui dispone non gli permette di ricoprire questo ruolo.

Quelli che sono veramente da sorvegliare sono gli effetti più profondi dell’influenza dell’inglese sull’italiano. Vediamo infatti che anche la sintassi viene “piegata” da strutture di origine anglofona. Si pensi ad esempio all’impiego avverbiale degli aggettivi (pensa positivo) o le “interrogative multiple” (chi fa che cosa).

La questione è da tempo oggetto di acceso dibattito tra i linguisti, recentemente anche a proposito della ventilata introduzione dell’inglese nell’insegnamento universitario, dove ha fatto recentemente scalpore la posizione di Tullio de Mauro, che ha preso posizione a favore all’adozione dell’inglese nelle università.

È certo comunque che gli eccessi linguistici in questo campo si combattono non con il dirigismo ma con un rinnovato impegno per la scuola e la cultura.

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Francesco Urzì, laureato in glottologia all’Università di Messina, è entrato a far parte nel 1982 dell’équipe di traduttori italiani del Parlamento europeo, dove ha proseguito la sua attività di Traduttore e Revisore fino al giugno 2014. Nell’ambito delle sue funzioni ha esteso i suoi interessi alla terminologia (specie finanziaria) e alle tecnologie CAT, per le quali è stato Coordinatore di Unità. Nel 2009 ha pubblicato il DCL – Dizionario delle Combinazioni Lessicali (Convivium 2009), primo Dizionario di collocazioni per la lingua italiana. Autore di articoli di linguistica e traduttologia, partecipa e interviene come relatore a convegni di terminologia, traduttologia e linguistica, da ultimo al Convegno internazionale 2014 della Società di Linguistica italiana (Udine).

È socio di Euralex, della Società di Linguistica Italiana (SLI), dell’Associazione Italiana per la Terminologia (Ass.I.Term) e della Rete per l’Eccellenza per l’Italiano Istituzionale (REI).


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