Perché “inglese degli altri” e non “narrativa postcoloniale” | un post di Laura Prandino
Pubblicato il 4 Novembre 2013 alle 11:29 0 Commenti
Un post di Laura Prandino, in vista del suo corso con STL del 30 novembre prossimo.
L’etichetta “postcoloniale” ha finito per diventare nel corso degli anni un contenitore di comodo in cui infilare tutta quella narrativa che si ha difficoltà a considerare semplicemente anglofona, e ha così assunto una patina vagamente segregazionista, quando non terzomondista.
Al corso proveremo a chiederci cos’hanno in comune la narrativa sudafricana, canadese, caraibica, australiana, nigeriana, del subcontinente indiano:
– Il passato di ex colonie britanniche?
Ma allora a paesi diversissimi fra loro per storia, tradizioni, sviluppo si impone arbitrariamente un’affinità culturale solo in quanto colonizzati prima e decolonizzati poi, si rischia cioè di definirli attraverso qualcosa che è loro estraneo. E del resto, quali elementi ci permetterebbero in questo caso di decidere che un autore sudafricano o indiano è più “postcoloniale” rispetto a uno statunitense o un irlandese?
– La lingua inglese in cui si esprime?
Ma anche in questo caso appare subito evidente la differenza tra paesi in cui l’inglese è la lingua parlata normalmente dalla totalità o comunque dalla maggioranza della popolazione, quelli in cui l’inglese è una lingua veicolare che all’interno di un unico paese assicura la comunicazione tra etnie di lingua diversa, e quelli in cui l’inglese rappresenta una seconda lingua che si limita ad affiancarsi o sovrapporsi alle lingue materne della comunicazione quotidiana, ed è spesso appannaggio di un’élite culturale.
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VI abbiamo incuriosito? Allora venite ad approfondire con noi che cosa intendiamo per ‘inglese degli altri’ e come l’interesse per questa materia può essere trasformato in una specializzazione spendibile nelle professioni editoriali.
Vi aspettiamo!
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