STL INTERVISTA CLAUDIA ZONGHETTI

Pubblicato il 16 Settembre 2015 alle 9:00 0 Commenti

Chiara Serani intervista Claudia Zonghetti, traduttrice dal russo di autori come Fjodor Dostoevskij, Michail Bulgakov, Nikolaj Gogol’, Pavel Florenskij, Varlam Šalamov, Gajto Gazdanov, Aleksandr Kojève, Vasilij Grossman e Anna Politkovskaja.

 Buona lettura!

Ci racconti come è nata la tua passione per la lingua russa e come sei approdata alla traduzione editoriale?

La colpa (o il merito?) è di un professore di greco del Liceo classico Raffaello di Urbino a cui il mio liceo – il linguistico sperimentale – era annesso. Si presentò per un’ora di sostituzione con Il cappotto di Gogol’. Al “colorito emorroidale” di Akakij Akakievič ero già prigioniera. Di lì la passione vorace per i russi, di lì la ricerca dell’università migliore dove studiare il russo e la letteratura russa (Ca’ Foscari, a Venezia, con Vittorio Strada). Caso volle che l’anno seguente a Venezia approdasse anche Julia Dobrovolskaja, traduttrice dei maggiori scrittori italiani in russo e poi convertita all’insegnamento inverso. È, di nuovo, colpa (o merito?) suo se mi sono innamorata della traduzione letteraria. Qualche anno dopo è venuta anche la SETL di Magda Olivetti: una bottega utilissima, indispensabile direi.

Nel tuo palmarès di traduttrice ci sono alcuni grandi classici; secondo te come è cambiato, nel tempo, il ruolo della letteratura russa nello scenario culturale europeo?

Non credo che sia cambiato. Né se si parla di classici più o meno recenti (che nel corso dei decenni sono rimasti imprescindibili e quasi venerati, nel ventaglio delle grandi letterature mondiali) né se si hanno in mente i contemporanei. Lo scambio culturale continua, pur se limitato dalle difficoltà dell’editoria nostrana e dalla diffidenza quasi fisiologica nei confronti dell’area slava in genere e della russa in particolare. La Russia non è più terra incognita, ma resta comunque terra lontana e, spesso, più “altra” di quanto davvero sia. I russi continuano a scrivere, e spesso a scrivere bene, ma – e sarò banale – la difficoltà di incontrare fra le pagine personaggi con nome e patronimico e una toponomastica di difficile lettura scoraggia spesso i lettori. Quegli stessi lettori, però, che ormai si muovono agilmente fra strade e cognomi scandinavi! Dunque, forse, potremmo chiedere un briciolo di coraggio in più agli editori nel proporre nuovi autori russi CON CONVINZIONE (perché forse è proprio la convinzione di partenza, che manca). Sia che si tratti di autori con forte peso letterario, sia nel caso di scrittori capaci di proporre buone pagine di intrattenimento: fantasy, thriller, gialli…

 Hai dato voce italiana a grandi romanzieri e a importanti opere – basti citare, per il recente passato, Vasilij Grossman e la tua magistrale traduzione di Vita e destino – ma anche a una giornalista come Anna Politkovskaja, di cui hai curato, per Adelphi, la traduzione di tutti i libri. Cosa hai provato nel tradurre la Politkovskaja dopo il suo brutale omicidio, avvenuto a Mosca nel 2006?

Ricordo che quando ebbi la notizia da una carissima amica giornalista, a poche decine di minuti dall’omicidio, stavo traducendo Diario russo, il secondo volume uscito per Adelphi dopo La Russia di Putin. Fu uno choc. Tutti temevano che accadesse e alla fine era davvero accaduto. Come ho detto in un’altra occasione, la morte di Anna Politkovskaja non è servita ad aumentare il rispetto già profondissimo che nutrivo e nutro per la sua fame indomita e umanissima di verità. Ma la sua morte ha senz’altro aumentato – se ce ne fosse stato bisogno – la mia responsabilità nei confronti delle sue parole: per quelle stesse parole le avevano tolto la vita e quelle parole mi erano state affidate.

Insieme a Julia Dobrovolskaja hai collaborato alla compilazione del Grande dizionario Russo-italiano/Italiano-russo di Hoepli: ritiene che sia più impegnativo il lavoro del traduttore o quello del lessicografo?

Io non sono una lessicografa, per carità. Sono una traduttrice in prestito alla lessicografia. Il lavoro al dizionario – otto anni – della strana coppia che siamo io e Julia è stato monumentale e utilissimo per il mio “vero” mestiere. Ridacchio ancora quando ripenso alle discussioni sulle parolacce, spesso per strada, mentre raggiungevamo l’editore per l’ennesimo incontro (io trentenne, lei vicina agli ottanta) o alle tante persone che interpellavo nelle occasioni più disparate per scovare il traducente esatto, vivo ed efficace, di un particolare lemma russo. È stato un lavoro impegnativo, ma arricchente oltre ogni possibile misura.

Cosa ti sentiresti di consigliare a chi volesse intraprendere la strada della traduzione editoriale dal russo?

Leggere. Leggere. E ancora leggere. Leggere di tutto. E leggere in lingua, da subito. Provateci e vi stupirete. Del resto, solo la frequentazione assidua, inesorabile, simbiotica con la scrittura affina quell’orecchio che è indispensabile per cogliere registri, linguaggi, richiami, echi. Insomma, per conoscere non *il* russo, ma *i* russi che poi i traduttori sono chiamati a rendere nei tanti italiani che compongono la nostra lingua.

Claudia Zonghetti, archeologa mancata, traduce dal russo classici e contemporanei. Oltre a Vasilij Grossman e Anna Politkovskaja, ha dato voce italiana a Pavel Florenskij, Varlam Šalamov, Nikolaj Gogol’ e, di recente, Gajto Gazdanov. Ha esordito, in gioventù, traducendo Dostoevskij e Bulgakov e sogna che le ricapiti di maneggiarli prima di appendere la tastiera al chiodo.

 


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