Tradurre il giornalismo – STL intervista Chiara Rizzo

Pubblicato il 3 Ottobre 2016 alle 17:38 0 Commenti

di Laura Baldini

Chiara è una traduttrice specializzata in giornalismo politico, web e divulgazione. Ha tradotto saggi e testi accademici per molti editori e collabora con varie riviste, tra cui Wired, Rai Educational, Reset, Arab Media Report, traducendo articoli di attualità perlopiù legati al particolare contesto del mondo arabo. Si occupa anche di editing, ufficio stampa e organizzazione di eventi culturali. Da gennaio 2015 gestisce, insieme alla collega Barbara Ronca, il blog doppioverso, vetrina e spazio di riflessione su traduzione e dintorni. Ai Duran Duran va il merito di averla fatta innamorare dell’Inglese e condotta sulla via della traduzione.

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Nell’ambito della traduzione, la strada che decidiamo di percorrere o la specializzazione che scegliamo spesso nascono dalla casualità: incontri, passioni momentanee, eventi fortuiti. Come hai iniziato a tradurre testi giornalistici?

Per caso, appunto, ma a ben guardare c’era un disegno dietro! Sono laureata in Teorie e Tecniche del Linguaggio Giornalistico, e mentre scrivevo la tesi ho tradotto per inserirli nella mia ricerca alcuni passi di un libro che all’epoca non era ancora stato pubblicato in italiano, The Rise of the Network Society di Manuel Castells. Il mio relatore, che dirigeva – e tuttora dirige – un pool di riviste che pubblicano sia contenuti originali che contributi di analisti politici tradotti, è rimasto favorevolmente impressionato dalla mia resa e mi ha chiesto di iniziare a collaborare come traduttrice con loro. Si occupavano prevalentemente di politica internazionale, un sogno per me se consideri che al momento di scegliere la facoltà avevo accarezzato a lungo l’idea di Scienze Politiche. Di lì a pochi mesi c’è stato l’11 settembre, e va da sé che a quel punto la mia attività traduttoria si è intensificata a dismisura e a poco a poco ho finito per specializzarmi in quell’ambito (dialogo interculturale, scenario mediorientale, ecc.). Da allora la gamma di argomenti che ho tradotto si è notevolmente ampliata, ma è comunque il contesto che continuo a sentire più congeniale. Ho una formazione non ortodossa per una traduttrice, non essendo laureata in lingue. Ma ai fini della mia specializzazione credo che l’avere una formazione che riguardasse nello specifico il mezzo, il linguaggio con cui mi confronto quotidianamente mi abbia aiutato molto a padroneggiare alcune dinamiche.

Qual è stato l’articolo o la notizia che non avresti mai voluto trovarti davanti? E quale, visto che sei una “consumata” sognatrice, ti auguri che prima o poi ti capiterà di tradurre?

Purtroppo, dato l’ambito di specializzazione in cui mi muovo, mi capita spessissimo di tradurre cose che da lettrice non vorrei mai trovarmi davanti agli occhi. Dai primi articoli tradotti, sul crollo delle Torri Gemelle, a quelli sugli stupri di Colonia o sulla strage alla redazione di Charlie Hebdo, o ancora sulla carneficina del lungomare di Nizza quest’estate, il più delle volte negli articoli che traduco si parla di attentati, rivolte, colpi di Stato. Sono stata malissimo quando ho tradotto del sequestro delle 200 studentesse nigeriane a opera di Boko Haram, e una cosa che mi fa regolarmente venire i brividi sono i reportage o gli articoli sui migranti: questa gente – donne, bambini – vive in condizioni veramente disumane, nella più assoluta mancanza di tutto ciò che noi troppo spesso diamo per scontato, fantasmi agli occhi dei governi. E probabilmente è proprio questo che sogno di tradurre, un giorno: la notizia dell’adozione di misure vere, efficaci, umane per risolvere l’emergenza profughi (per quanto, mi rendo perfettamente conto che è come dire “sogno la pace nel mondo” alla finale di Miss Italia…)

Immagino che nel settore giornalistico siano frequenti le “ultim’ora” e, quindi, le urgenze e che, comunque, per stare sul pezzo, i tempi siano strettissimi. Ci spieghi come funzionano le tempistiche in questo ambito?

È esattamente come immagini, i tempi sono da rullo compressore: nel migliore dei casi ho un paio di giorni per tradurre un articolo, ma molto più spesso solo poche ore. In realtà, essendo io un tipo particolarmente ansioso, questo genere di tempistiche mi è più congeniale: nelle mie incursioni in ambito editoriale soffro molto di più l’angoscia della consegna dilazionata, invece con i giornali via il dente via il dolore! A parte gli scherzi, ciò implica però un lavoro anche al limite del redazionale: così come tu hai poco tempo per tradurre, la redazione ha spesso altrettanto poco tempo per rivedere, quindi rispetto alla traduzione editoriale in senso stretto c’è molta meno possibilità di lasciare nodi irrisolti.

Nel seguitissimo blog che gestisci insieme a Barbara Ronca non si parla solo di traduzione. Eppure doppioverso è diventato un punto di riferimento per moltissimi traduttori. Qual è secondo te il segreto per avere visibilità a livello professionale e per comunicare efficacemente?

Credo che il segreto di una comunicazione efficace e di un’adeguata visibilità a livello professionale passi essenzialmente dall’onestà, dal tentativo di mantenersi il più autentici possibile. Con doppioverso io e Barbara non abbiamo mai ambito a metterci in cattedra, abbiamo semplicemente voluto raccontare la nostra personale esperienza, il nostro modo di fare alcune cose e di affrontare alcune problematiche legate alla professione, nel tentativo da una parte di confrontarci e fare rete con chi già fa questo mestiere e dall’altra di dare alcune indicazioni a chi vorrebbe farlo nella speranza di farlo avvicinare al lavoro di traduttore in modo più consapevole. Penso che a lungo andare sia stato questo che ci ha premiate: il non voler essere emblematiche di nulla, ma il voler solo condividere la nostra storia per crescere tutti quanti insieme. Premiate si fa per dire, eh: non siamo mica delle blogstar!!

Quando un po’ di tempo fa lessi ciò che avevi scritto di te sulla pagina di doppioverso, rimasi molto colpita e divertita (anche un po’ commossa, lo ammetto!) dalla storia dell’ “orsetto del cuore”: anche per me, bambina solitaria che viveva in un mondo tutto suo, la fantasia e i sogni sono sempre stati una risorsa preziosa. Sei d’accordo con H.D. Thoreau che, nel suo Walden, consigliava: “Go confidently in the direction of your dreams. Live the life you’ve imagined”?

D’accordissimo! Diversi anni fa, quando lavoravo in un’agenzia di comunicazione di eventi culturali come ufficio stampa (come vedi al giornalismo ci ho sempre girato intorno!) ho letto online una frase di cui purtroppo non sono riuscita a rintracciare la fonte, ma che da quel giorno ho eletto a mio mantra: “Se è impossibile, fallo. Se non lo fai, non esiste”. Da ansiosa impenitente quale sono non è facile rispettarla, ma è un qualcosa di cui sono fermamente convinta: siamo noi gli artefici del nostro destino, e se non siamo i primi a credere in noi stessi è impossibile che pretendiamo lo facciano gli altri. Attenzione, però. Sono altrettanto convinta che al di là dei sogni la chiave del successo sia l’azione: non basta sognare e basta, bisogna agire per dare corpo a quelle aspirazioni.

Grazie Chiara!


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