Tradurre la moda e il lusso | Quando la parola diventa arte
Pubblicato il 5 Luglio 2023 alle 7:09 2 Commenti
Un articolo di Martine Moretti ed Eugenia Durante
Haute Couture, gioielleria, automotive… L’elenco dei segmenti e sottosegmenti che compongono l’universo del lusso è vasto e poliedrico. E se da un lato, alcuni associano il lusso a ciò che è bello (ma anche futile), dall’altro, questo settore esercita da sempre un’attrattiva decisamente particolare. Lo dimostra il fatto che oggi parole come “unico”, “lussuoso”, “esclusivo” sono tra le più inflazionate, in qualunque ambito. La realtà, insomma, sembra dirci che – più o meno consapevolmente – desideriamo tutti appropriarci di un pezzetto di questo universo scintillante e, per molti versi, proibito. Non dimentichiamo, poi, che se il lusso è così magnetico, lo deve anche alle parole che comunicano efficacemente le sue peculiarità sui numerosissimi supporti digitali e analogici esistenti. Appare già chiaro, quindi, che le sfide non mancano per chi traduce e scrive nel settore.
In due articoli successivi, scopriremo i retroscena del lusso, le sue evoluzioni e cosa si chiede a un buon traduttore e comunicatore per lavorare in un ambito tanto distintivo quanto esigente.
Il lusso, o l’arte di vendere un sogno
Il lusso possiede una forte simbologia, evolve con noi dalla notte dei tempi e si lega da sempre a concetti di agiatezza e preziosità. Gli antichi Egizi, per esempio, seppellivano i morti con oggetti di valore, quasi il lusso fosse un dono e un simbolo di elevazione a uno stato superiore. Nei secoli, si è associato ad arte, cultura e musica, dettando tendenze, incarnando il piacere (materiale e immateriale) e diventando uno spartiacque in un ordine sociale non egualitario. In altre parole, il lusso cerca volontariamente di alimentare sogni e desideri (quasi) irraggiungibili, perché riservati a pochi fortunati conoscitori.
“Per molti ma non per tutti”, recitava la pubblicità di un noto spumante: ciò vuol dire che possedere un oggetto di lusso implica il fatto di capirne il valore intrinseco e simbolico, prima ancora che materiale.
Ma allora l’equazione “lusso = frivolezza” è vera?
Se fossimo esseri privi di emozioni, animati da istinti basici, sì. Ma l’uomo è molto di più. Ed è su sentimenti più profondi e complessi che fa leva il lusso, per instillare “bisogni” nel suo pubblico. Non a caso, Coco Chanel affermava: “Il lusso è la necessità che inizia quando la necessità finisce”. D’altronde, la stessa parola “necessità” assume sfumature particolari in questo settore.
Per capire meglio, seguiamo la simbologia dello psicologo Abraham Maslow. Immaginiamo una piramide in cui alla base ci sono “bisogni vitali” di sopravvivenza e protezione e in cima quelli “psicologici ed emotivi”, di amore, inserimento in società e realizzazione personale. Man mano che un individuo soddisfa le necessità di base, può avere desideri sempre più “alti” e “articolati”. Seppur con dei limiti, questa piramide è utile per targettizzare audience precise e definire campagne mirate.
Un’altra piramide, detta del posizionamento, ci mostra, invece, la segmentazione del mercato. Alla base abbiamo il mass market (prodotti a basso costo fabbricati in serie), al centro il settore premium o masstige (prodotti di massa commercializzati come prestigiosi, più cari che nel mass market ma più economici che nel lusso) e in cima il settore del lusso (con materiali, tecniche produttive ecc. rari o altamente selezionati).
Se il lusso – che è in vetta alla piramide del posizionamento – corrisponde alle necessità di amore e appartenenza – che sono in cima alla piramide di Maslow – intuiamo anche quale ruolo ricopre il lusso nella nostra società.
Abito, borsa o gioiello… qualunque sia “l’oggetto (o l’esperienza) del desiderio”, questo ha due dimensioni:
– edonistica (l’importanza che ricopre per una persona);
– sociale (l’importanza che acquisisce per una persona nei confronti degli altri).
In pratica, assolve una funzione ostentativa, incarnando la classe sociale di chi lo possiede.
Ma non è tutto: un bene di lusso è l’espressione, tra le altre cose, della storia, del mito e dell’expertise del brand da cui nasce. A ciò si aggiungono il tempo dilatato – in cui chi vuole un determinato prodotto deve mettersi in lista d’attesa –, le tecniche artigianali, la produzione locale e il pregio dei materiali, che conferiscono a quel bene un’aura prestigiosa e distintiva rispetto a oggetti, prodotti o servizi “comuni”. In altre parole, più una cosa è rara e/o difficile da ottenere, più costa.
Allora le continue collezioni di alta moda e i millemila drop “esclusivi” non sono lusso?
Nì. Perché Internet e la rivoluzione digitale si sono infiltrati nei ritmi lenti del lusso, portando con sé una serie di dinamiche molto distanti dal DNA del settore, che tuttavia non è più possibile ignorare. La frenesia del mercato, l’avvento dei social, la velocità con cui i consumatori creano contenuti e accedono alle informazioni hanno radicalmente cambiato le regole del gioco.
Assistiamo quindi:
– A una certa “democratizzazione” del lusso: fasce di pubblico o target nuovi (come i Paesi emergenti, la Gen Z o gli “abitanti” del metaverso) vi si avvicinano, grazie a un potere di acquisto (più) elevato.
– Alla globalizzazione del lusso: veniamo a conoscenza di trend che spopolano in USA, Brasile o Corea con un semplice clic. Da un lato, ciò crea un appiattimento di tendenze e abitudini di consumo, dall’altro nascono nuovi desideri.
– Alla capillarità dei social media: il digital avvicina consumatori e brand e rappresenta un enorme potenziale per la creazione di brand awareness (conoscenza del brand) e crescita.
In questo panorama fluido, in cui online e offline si mescolano, e canali e supporti si moltiplicano, la comunicazione cambia e, per essere efficace, deve essere:
– diretta;
– personalizzata;
– esperienziale (prima del prodotto, acquistiamo l’esperienza che esso ci regala) e
– omnichannel (comunicazione on e offline coerente e senza intoppi).
Tuttavia, riuscire nell’intento, per un mondo che ha sempre praticato distanza, superiorità e autocelebrazione, è una sfida… immane.
Moda e lusso: il trend è servito
Come accennato, la globalizzazione ha scombussolato anche il più serafico dei settori, spingendolo a seguire ritmi affannosi e a piegarsi a freddi calcoli di profitto.
Oggi, è comunissimo trovare parole come “moda e lusso” associate a termini come “trend” o “tendenze”.
Attenzione: le tendenze sono per natura effimere ma finché resistono sono capaci di creare neologismi, termini e concetti nuovi e complessi da tradurre e comunicare. Le parole chiave, per noi, sono quindi formazione e aggiornamento costanti.
Durante il corso di alta formazione “Tradurre (e comunicare) la moda e il lusso”, ne abbiamo analizzate tre: ibridazione, sostenibilità e inclusività.
Ibridazione
Quando due brand collaborano restando nel proprio settore, si parla di co-marketing o collaborazioni brandizzate (ibridazione “leggera”), mentre quando un brand amplia l’offerta sconfinando in un altro campo, si parla di brand extension (ibridazione “profonda”, ne è un esempio Armani).
Le collaborazioni possono avvenire nello stesso settore e scenario (per es. Valentino e Fendi); nello stesso settore ma con target diversi (Swatch e Omega); in segmenti diversi (Adidas e Stella Mc Cartney) o agli antipodi (Supreme e Lamborghini). Senza dimenticare l’intramontabile connubio “moda, lusso e arte” (Yayoi Kusama e Louis Vuitton).
Gli obiettivi dell’ibridazione sono molteplici:
- svecchiare o ridare lustro all’immagine di un brand;
- stupire le rispettive audience;
- attrarre nuovo pubblico;
- aumentare la brand awareness;
- fidelizzare sul lungo termine.
Uno dei sodalizi più riusciti e longevi di sempre è l’ibridazione tra moda e cosmesi.
Perché la cosmesi?
Perché è innovazione, espressione artistica, stile. E diventa un prolungamento del look e della personalità. Dalla passerella, dove le sfilate uniscono moda e cosmetica per creare un linguaggio unico e coerente all’interno di una collezione, i trend passano al commercio di massa.
In altre parole, questa combinazione funziona perché la cosmesi è un settore:
- redditizio, in crescita e resiliente (si parla di lipstick effect, quando un settore riesce a crescere anche in tempo di crisi. Vi abbiamo accennato anche qui e qui);
- innovativo e al passo coi tempi;
- “social” e molto vicino ai consumatori.
Ça va sans dire: quando due settori così frizzanti si uniscono, le parole per descriverli non bastano mai!
Sostenibilità
Secondo Treccani la sostenibilità è il “soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri”.
Essa riguarda non solo l’ambiente, ma anche il benessere dell’uomo. La moda (con la fast fashion in testa) è uno dei settori che più inquina e sfrutta uomini e risorse naturali. Quindi, anche se lavoriamo nel campo e ne rispettiamo i codici linguistici, dobbiamo essere consapevoli che le cose devono cambiare. Come sempre, le parole contribuiscono a creare un mondo nuovo.
Durante il corso dedicato a moda e lusso, abbiamo, quindi, riflettuto su come sia possibile conciliare esigenze di vendita, etica e coerenza, quale scenario ci si prospetta e con quali realtà possiamo collaborare nel mondo della moda etica e sostenibile (ad esempio, piattaforme di fashion renting, brand di certificazioni, marchi di moda pre-loved, ecc.).
Insomma, se tra pandemie, crisi, guerre e inflazione il futuro non sembra ancora roseo, proviamo almeno a fare in modo che sia green.
Inclusività
Partiamo da un presupposto: in un mondo ideale, l’inclusività non dovrebbe essere una “tendenza”, ma la norma. Purtroppo non viviamo nelle favole e la speranza è che parlarne aiuti a prendere sane abitudini. C’è da fare una precisazione: l’inclusività non riguarda solo genere e sesso biologico, ma anche etnia, religione, disabilità, età, ecc.
Più ampia è l’audience a cui ci si rivolge, più alto è il rischio di escludere qualcuno e sottovalutare o, peggio, ignorare la reazione di un certo pubblico (che quindi si sentirà vittima di ingiustizia discorsiva). Lo sanno bene i brand che hanno fatto scivoloni (ricordate lo spot di Dolce & Gabbana ritenuto offensivo dai cinesi?).
Internet, poi, è una cassa di risonanza impietosa e gli errori o le indelicatezze non passano (più) inosservati.
Come esperti di comunicazione, dobbiamo stare all’erta ed essere consulenti preziosi per i nostri clienti. È necessario rispettare il loro tono di voce senza perdere di vista la sensibilità del target e pensare sempre a come reagirebbe a un determinato messaggio.
Conoscere le strategie di marketing e i codici del lusso è fondamentale e anche se il settore è esclusivo, la sua comunicazione non dovrebbe esserlo mai.
Siamo arrivate alla fine della prima parte di questa analisi sul mondo della traduzione e comunicazione di moda e lusso.
Una panoramica sul settore era d’uopo.
Ma siccome di considerazioni da fare ce ne sono ancora tante, vi diamo appuntamento al prossimo articolo, in cui affronteremo il ruolo (e le sfide) dei traduttori e comunicatori specializzati e capiremo come inserirci nel mercato di moda e lusso.
Stay tuned!
Credits: La foto dell’articolo è su canva.com
E se non vi basta…
Per chi già lavora in traduzione (e comunicazione) per la moda e il lusso ma vuole approfondire degli argomenti e/o esercitarsi con i laboratori, oppure per chi vuole avvicinarsi al settore e farne una specializzazione, il corso di alta (e lunga 😉 ) formazione Tradurre (e comunicare) la moda e il lusso è sempre disponibile ON DEMAND a questo link.
Per approfondire la traduzione marketing, invece, leggete qui e qui
Un articolo approfondito e condensato allo stesso tempo, avvincente come un romanzo, che ripercorre i temi del corso di formazione su moda e lusso. Ed esprime la vostra passione per comunicare e diffondere conoscenze e consapevolezza. Grazie Eugenia e Martine!
A breve arriva la seconda parte! 😕 (Grazie Silvia ?)