Tradurre tra le righe: come avvicinarsi al settore dell’alta moda

Pubblicato il 19 Maggio 2020 alle 9:15 1 Commento

Un articolo di Eugenia Durante

Vestiti scintillanti, borse favolose, sfilate cinematografiche: quello dell’alta moda è un mondo fantastico che seduce, attrae e confonde. Tanto pirotecnico e creativo all’apparenza, nasconde in realtà un vastissimo insieme di regole e codici non scritti. Il discorso non abbraccia solamente gli abiti e accessori in sé, ma anche il mondo delle parole che li raccontano, contribuendo a creare immaginari che influenzano profondamente la nostra percezione del presente.

Se è vero che nella traduzione qualsiasi settore richiede la capacità di adattarsi al tono di voce del cliente e alle aspettative del suo pubblico, l’alta moda merita una menzione a parte. Ogni cliente rappresenta un universo a sé e ogni scelta linguistica deve fare i conti con la storia della Maison, la sua evoluzione e il suo futuro. In questo campo più che mai bisogna dimostrare di avere non solo una solida competenza terminologica, ma anche una buona dose di creatività (e la non scontata capacità di metterla da parte quando non ci è richiesta).

A ciascuno la sua riga

Partiamo da un esempio trabocchetto. Alzi la mano chi sa come tradurre un aggettivo banale come “striped”, riferito ad esempio a un capo di maglieria. Facile, vero? Insomma. Se andiamo a fare una breve ricerca online, troviamo che la traduzione dello stesso identico termine inglese diventa “a righe” per Louis Vuitton, “a strisce” per Dior, “motivo a righe” per Céline e “rigato” per Marni. Un altro esempio? La “shopping bag” diventa “borsa shopping” per Gucci, “shopper” per Armani, “borsa shopper” per The Bridge. E così via, potenzialmente all’infinito.

Ma chi ha ragione? Nessuno. O meglio, tutti. Nell’haute couture, ogni termine riflette non solo la storia della Maison, ma anche le scelte del suo Direttore Creativo, l’approccio del settore vendite, la strategia di marketing della nuova collezione. Per questo motivo, come già menzionato, non basta avere una buona conoscenza dei tessuti, dei tagli, degli infiniti dettagli che possono impreziosire un abito, una borsa o una cintura: occorre conoscere il brand, capire la sua filosofia e anticipare le scelte comunicative da intraprendere per rispettarne il tono di voce, le ambizioni e la strategia SEO.

Chi traduce per mestiere sa che conoscere bene il cliente e il mercato è molto importante. Se possibile, nell’alta moda lo è ancora di più. Per questo è fondamentale che chi vuole approcciarsi a questo settore sia perfettamente informato non solo sulla Maison per cui desidera lavorare, ma su tutta la scena. Non dico che dobbiate trasformarvi nell’inarrivabile Miranda Priestly de Il Diavolo veste Prada, ma di sicuro è bene che vi immaginiate la faccia che farebbe nel sapere che non avete la minima idea di quali sono i motivi protagonisti della nuova collezione Autunno-Inverno di Versace.

Sì, ma nella pratica?

Chi traduce per grandi Maison o gruppi dell’alta moda o del lusso spesso non lavora da solo: è più probabile che l’ufficio marketing interno dell’azienda o del gruppo si rivolga a un’agenzia di traduzioni. La grande mole di materiale che accompagna ogni collezione può includere descrizioni prodotto per siti web, lookbook, etichette, micro copy, avvisi, presentazioni, formazione interna e molto altro ancora; ci si ritrova sovente, dunque, a lavorare in team con ritmi serratissimi, glossari in costruzione e pochissimo materiale di consultazione a disposizione.

A seconda del project manager, possono essere sviluppati glossari corali, che contengono le indicazioni generali della Maison in materia di terminologia e sintassi. Uno dei brand per cui traduco, ad esempio, esige che ogni frase delle descrizioni italiane segua solo ed esclusivamente la struttura soggetto-verbo-complemento (anche se l’inglese raramente lo rispetta), mentre un altro vuole che ogni descrizione inizi con una breve frase introduttiva priva di verbo. Se non ci pensa il project manager, è utile creare un file in cui raccogliere tutte queste indicazioni, anche non strettamente terminologiche, per evitare di confondersi quando si lavora per più Maison.

Altrettanto prezioso è avere a disposizione un buon dizionario per i termini non presenti nei glossari. Per la mia combinazione linguistica EN>IT è molto valido il “Dizionario della moda” di Mariella Lorusso, edito da Zanichelli. Nel caso in cui serva un supporto visivo, “Fashionpedia” di Fashionary offre immagini, definizioni e infografiche su termini tecnici, misure, cura e dettagli relativi alla moda uomo e donna; il libro è in inglese, ma può essere un buon aiuto nel caso in cui il testo di partenza sia poco decifrabile e ci si debba aiutare solo con la foto dell’articolo.

A chi vuole intraprendere questa carriera, dunque, consiglio di iniziare con l’esplorazione dei siti delle Maison, cercando di comprendere le strategie di marketing dietro alle scelte terminologiche, analizzando i vari tipi di testo e familiarizzando con un linguaggio che è spesso molto distante da quello del fast fashion, con cui solitamente abbiamo più dimestichezza. Non dimenticate che le parole giuste aiutano a valorizzare un abito tanto quanto un ricamo realizzato a mano: è proprio il vostro savoir-faire traduttivo a rendere ancora più seducente un articolo di alta sartoria.


Eugenia ha tre personalità: la prima traduce testi di marketing, moda, sottotitoli per film e libri; la seconda lavora come copywriter e editor per aziende e privati; la terza scrive di letteratura, traduzione e musica per riviste e testate online. A tutte e tre piace molto mangiare.

Se la volete conoscere meglio andatevi a guardare il suo sito web e il suo profilo LinkedIn.


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  1. Silvia ha detto:

    Che gran bell’articolo, simpatico e ricco di spunti!


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