Vita da Freelance | STL intervista Eleonora Cadelli

Pubblicato il 4 Maggio 2016 alle 8:15 0 Commenti

di Laura Baldini

Traduci da tre lingue (Inglese, Francese e Spagnolo) e ti occupi principalmente di testi letterari e audiovisivi.  Qual è la lingua con cui lavori di più? E quale quella con cui ti piacerebbe lavorare di più?

La lingua con cui lavoro di più è per forza di cose l’inglese, perché l’Italia importa moltissimi prodotti culturali dai paesi anglofoni. In realtà, pur avendolo studiato molto, sono laureata in spagnolo e francese: decisamente ho una passione per le lingue romanze! Il francese mi è sempre piaciuto, tanto che in prima media ho “costretto” un’amica di famiglia, francese appunto, a insegnarmelo per cinque anni. Invece ho scoperto lo spagnolo alla fine delle superiori, e da allora è diventata la mia lingua del cuore: è incredibilmente ricca e comunicativa, porta con sé la sua storia (come le parole e i suoni arabi) e non finisce mai di stupirti con espressioni inaspettate, anche perché spesso e volentieri rifiuta i calchi dall’inglese che invadono l’italiano. Purtroppo però le occasioni di tradurre dallo spagnolo in ambito audiovisivo sono poche (perlopiù telenovelas) e ancor meno dal francese, anche se ultimamente mi sono capitati documentari interessanti e alcuni episodi di Marseille, una serie TV con Gérard Depardieu che verrà trasmessa ai primi di maggio.

Sul tuo profilo racconti che sei approdata “un po’ per caso” alla traduzione di documentari e “un po’ meno per caso” a quella delle serie TV e dei film. Cosa intendi per “un po’ meno per caso”?

Tutto è iniziato quando ho mandato casualmente il curriculum a un’agenzia che mi ha proposto di tradurre (e adattare, aiuto!) alcuni documentari. Non l’avevo mai fatto, ma mi sono buttata a capofitto e ho avuto una specie di illuminazione: ho capito che mi si apriva una strada completamente nuova che non avevo mai nemmeno preso in considerazione. Il resto è arrivato un po’ meno per caso nel senso che poi mi sono iscritta a un bellissimo master in traduzione audiovisiva dell’Università di Cadice (in migliore che offrisse anche la modalità online, perché con un bimbo di due anni e una in arrivo non avevo molte opzioni), ho cercato di approfondire questo ambito di specializzazione, di fare esperienza, di propormi alle agenzie. Dopo alcuni anni di gavetta è arrivata la prima serie (la telenovela Il segreto) e da lì sono entrata in questo mondo da cui spero di non uscire più.

Sei anche autrice di narrativa e manuali per l’insegnamento della lingua spagnola. Come nasce un libro di narrativa finalizzato all’insegnamento di una lingua?

La nascita di un libro scolastico è sempre frutto di un intenso lavoro di squadra, nel mio caso della redazione Europass, marchio delle lingue straniere della casa editrice Principato, e anche per questo dà grandissime soddisfazioni. In genere quando parte un nuovo progetto la redazione stabilisce il pubblico di riferimento (tipologie di scuole, di classi e livello del quadro comunque europeo per le lingue). Per quanto riguarda i testi di narrativa si valuta insieme l’opportunità di adattare un’opera classica o scrivere un testo inedito e quali temi esplorare. A quel punto preparo alcuni soggetti; la redazione sceglie quello che preferisce e in seguito lo metto a punto stendendo un canovaccio, ovvero lo sviluppo della trama in base ai capitoli a disposizione; in questa fase si decidono anche i vari approfondimenti che completano la storia, a seconda della struttura del libro. Poi comincia la fase di scrittura vera e propria, che deve tenere sempre conto degli elementi linguistici da inserire in ciascun capitolo e sui cui si baserà la sezione delle attività. Nel frattempo un madrelingua rilegge il testo alla caccia di errori e l’illustratore comincia a preparare le tavole. Quando è tutto pronto arriva il momento di controllare le bozze a colori e dare il visto alle illustrazioni: è la parte che preferisco, un po’ perché finalmente la storia passa magicamente da un foglio word a una pagina vera (ed è tutta un’altra cosa!), e un po’ perché è sempre stupendo vedere la tua immaginazione trasformata nelle illustrazioni di un artista. E naturalmente quando arrivano le copie stampate di fresco si festeggia insieme, anche se ahimè in genere dobbiamo farlo a distanza.

Mi sembra di capire che è la passione ad averti guidato finora nelle scelte e negli interessi, una sorta di filo rosso che ha colorato la tua vita lavorativa e che, a un certo punto, proprio per essere libera, ti ha fatto capire che la dimensione da “freelance” era quella che più ti si confaceva. Qual è l’aspetto che più ti ha attratto del lavoro da freelancer e quali, invece, i risvolti negativi (se ne hai trovati)?

Ti spinge a riflettere molto su quello che fai, a cercare sempre di migliorare o a tentare strade diverse, e quando ci riesci è una bella soddisfazione. Gli aspetti negativi ci sono: l’incertezza per il futuro, non riuscire mai a staccare davvero dal lavoro, non poter programmare le proprie giornate con un orizzonte superiore alla settimana… tutte cose che a volte possono risultare frustranti, ma che comunque per me sono meno rilevanti dei vantaggi.

In realtà credo che la “vita freelance” fosse già nei miei geni: mio padre è libero professionista e ho sempre apprezzato la sua flessibilità. E quando lavoravo in ufficio ne ho avuto conferma, perché trovavo davvero snervante non poter razionalizzare gli orari in base ai carichi di lavoro effettivi; mi sentivo in prigione, bloccata dalle decisioni altrui. La scelta di diventare freelance è maturata poco a poco ed è stata una liberazione da questo punto di vista, perché ha semplificato molto l’organizzazione familiare e mi ha fatta sentire padrona del mio tempo (anche se non è sempre vero, perché quando le consegne pressano non ho nemmeno il tempo di scendere a comprare il pane!). Eppure in realtà l’aspetto che trovo più stimolante è avere la certezza che nel bene o nel male tutto dipende da te, i tuoi fallimenti come i tuoi successi; quello che mi manca di più del lavoro tradizionale è senz’altro non avere compagni di scrivania o di consiglio di classe: in tutti i posti in cui ho lavorato ho trovato degli amici con cui sono ancora in contatto, ma la complicità che si crea vedendosi molte ore al giorno e affrontando le stesse situazioni è davvero speciale e insostituibile. Certo, ogni scelta ti dà e ti toglie qualcosa; l’importante è essere convinti di quello che si fa e non avere rimpianti.

Da cosa nasce il tuo Linguaenauti? E quali sono le soddisfazioni maggiori che ti ha riservato fino ad oggi?

L’idea del blog era nell’aria da un po’ ma è maturata tutta insieme, in treno, mentre tornavo da Roma dopo uno dei miei rari viaggi di lavoro. Da tempo avevo voglia di fare qualcosa di diverso e di partecipare più attivamente ai fermenti che pulsano in rete intorno al mondo della traduzione; oltretutto da alcuni mesi mi ero trasferita a Parma (nella casa molto particolare ma altrettanto “ispiratrice” che vedete nella foto, e in cui tra specchi e quadri ho trovato anche la scrivania dei miei sogni) e mi sentivo oppressa più che mai dalla solitudine del traduttore. Mi sono detta che valeva la pena provare e poco a poco il progetto ha preso forma.

Fin da subito ho deciso che non volevo creare un ego-blog e nemmeno uno sfogatoio, bensì darmi un’opportunità per valorizzare e in qualche modo sistematizzare le mie esperienze, riflettendoci in maniera non superficiale e aprendomi di più al mondo intorno a me. Insomma, cercavo un’occasione per approfondire e conoscere più che per farmi conoscere. Inoltre mi sono proposta di esprimermi in un’ottica incoraggiante per il lettore e tentare, nel mio piccolo, di creare contenuti positivi che possano essere di stimolo ad altri. Per questo mi piace molto avere l’opportunità di intervistare persone che lavorano nel mondo delle lingue: ho sempre trovato di grande ispirazione conoscere le esperienze altrui e credo che questo valga un po’ per tutti i liberi professionisti, per i quali il confronto è sempre molto importante. Di conseguenza, la soddisfazione più grande è senz’altro leggere i commenti in cui i lettori dicono che trovano interessanti gli articoli e ne traggono qualcosa di utile: vuol dire che con quel post ho raggiunto il mio obiettivo.

Un altro motivo per cui ho deciso di dare vita a Linguaenauti è che mi è sempre piaciuto scrivere, e farlo per un pubblico aiuta a focalizzarsi meglio sui contenuti e sul modo di trasmetterli, a trovare una propria voce e un proprio stile… è una sorta di palestra di scrittura, e come in tutte le palestre non c’è divertimento senza la fatica!

Ultima curiosità: sul tuo blog hai scritto che è stata una poesia di Pablo Neruda a suggerirti quale sarebbe stata la strada giusta per te. Che poesia era? E cosa, di quella poesia, ti ha persuaso a iscriverti a Lingue e Letterature Straniere?

Si tratta del Poema 20, da Veinte poemas de amor y una canción desesperada, un libro che ha fatto innamorare milioni di persone per generazioni… e che personalmente mi ha fatta innamorare dello spagnolo, una lingua che fino ad allora non mi piaceva particolarmente; anzi, mi sembrava buffa per le assonanze con il nostro dialetto della bassa friulana. Ero all’ultimo anno di liceo, già preiscritta a Scienze della comunicazione; un giorno su un tavolo ho visto le fotocopie della poesia, preparate da un’insegnante che dava un corso pomeridiano di spagnolo nella mia scuola, e incuriosita ne ho presa una. È stato amore a prima vista, più per le sonorità della lingua che per i contenuti, che riuscivo solo a intuire: sono corsa a comprare il libro con testo a fronte e subito dopo quelli di Lorca e Alberti. Quella primavera e per tutta l’estate ho letto poesia in spagnolo (con la voracità e soddisfazione che si ha a quell’età e che poi purtroppo un po’ si placa), e Neruda era sempre lì, tra un Alpha Test e l’altro, a lavorare nell’ombra con i suoi versi d’amore disperato. Quando è arrivato il giorno del test d’ingresso per la facoltà la lampadina si è accesa, improvvisa e inevitabile: ho accompagnato in aula l’amica che era con me e sono corsa a iscrivermi a Lingue, avvisando i miei genitori solo a cose fatte. Naturalmente non me ne sono mai pentita: è stata una delle decisioni più sagge della mia vita.

Eleonora Cadelli dopo essersi laureata in Lingue e Letterature Straniere all’Università degli Studi di Padova, ha conseguito un diploma in Metodologia e Didattica dello Spagnolo presso l’Università di Valencia e un master in traduzione audiovisiva, sottotitolazione e localizzazione all’Università di Cádiz. Traduttrice dallo Spagnolo, dall’Inglese e dal Francese è soprattutto specializzata nei settori del turismo, marketing, comunicazione e giornalismo. È inoltre autrice di libri di narrativa e di manuali per l’insegnamento della lingua spagnola e ideatrice di Linguaenauti, blog rivolto a chi ama le lingue, tutte le lingue, “compreso il silenzio”.


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